Tutti gli articoli di Istituto

Una giornata particolare: in occasione del 79° Anniversario del Rastrellamento del 20 Gennaio 1945

A cura di Sandro Centi

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista, che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, spesso ingiustamente trascurato dalle cronache e dalla storiografia generale, è, in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” così descrisse quei giorni:

Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili, non sempre lineari, più di una volta dolorose, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Nella 79° ricorrenza del rastrellamento, se qualcuno volesse leggere una veloce sintesi delle vicende occorse alle varie Brigate, nel quadro della massiccia operazione nazifascista, segnalo: La “Battaglia del Gottero”, una vera epopea senza retorica, pubblicata da ISR/ETS La Spezia, particolarmente utile per “rispolverare” la storia.

Quest’anno, tuttavia, ISR/ETS può presentare una novità che va a completare la pubblicazione, approfondendo alcune questioni.

Infatti, sulla scorta di quanto ho letto e sulla base di ricerche fatte, ho delineato due Mappe tridimensionali, a colori, con l’obiettivo:

a) di rendere chiara agli occhi di chi legge la vasta area del rastrellamento stesso e le forze nemiche impiegate in esso;

b) di far comprendere l’epicità dello sganciamento attuato dai partigiani del Battaglione “Vanni”1 che, dopo avere combattuto, si diressero, come era stato ordinato loro dal Comando IV Zona Operativa, verso il Monte Gottero, completamente innevato, arrivando a sopportare temperatura di 20 gradi sotto zero.

La Mappa n.12 delinea l’area del rastrellamento e le forze in campo. Ho lavorato ad essa basandomi su testi già noti, ma integrandoli a seguito di mie riflessioni, per mettere in evidenza le direttrici della manovra, specificando, dove possibile, i reparti nazifascisti impegnati.

Mappa 1,  Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa
Mappa 1: Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa

La Mappa n.23 chiarisce invece come il Battaglione “Melchiorre Vanni” (Comandante Astorre Tanca “Astorre”4; Commissario Politico Franco Mocchi “Paolo”) riesca a salvarsi, dapprima combattendo duramente verso Bozzolo e poi nella zona di Zignago, sganciandosi, infine, con l’ascesa quasi proibitiva, a causa delle condizioni climatiche e ambientali, della fame e dei vestiti non adatti, verso il Monte Gottero.

Mappa 2, Sganciamento dallo Zignago del Battaglione "Vanni", andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945
Mappa 2: Sganciamento dallo Zignago del Battaglione “Vanni”, andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945

Il cammino percorso, sull’andata e sul ritorno, fu incredibilmente lungo come chilometri e incredibilmente corto come capacità oraria di percorrerli, nonostante l’itinerario impervio, e la durissima giornata di combattimenti del 20 gennaio, che pesava sulle spalle di quegli uomini.

Il Battaglione “Vanni”, dopo avere combattuto senza sbandamenti, si ritrovò infatti, come stabilito, a Pieve di Zignago (sera del 20 gennaio 1945): qui la popolazione5 diede, con spirito fraterno, ai partigiani, tutto quel poco, praticamente quasi niente, che aveva, per cibarsi. Lo sganciamento avvenne in modo ordinato, e tendenzialmente omogeneo: se ci furono delle diversificazioni nei tempi, e delle variazioni di piccoli gruppi, esse furono causate dalla eventualità onnipresente di imboscate, dalla durezza del cammino, nonché dalla fatica e dai sintomi gravi di congelamento in numerosi partigiani.

Comunque, il ritorno dei primi gruppi6, e sembra quasi incredibile, avvenne già alla mezzanotte del 24 gennaio 1945, a Torpiana.


NOTE

1 La scelta di illustrare l’itinerario di tale Battaglione è dipesa dal fatto che ISR/ETS La Spezia sta preparando una pubblicazione su di esso, in cui confluiranno, tra le altre, le Mappe che vengono presentate nell’articolo. Per una visione complessiva delle vicende del Battaglione, V. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/battaglione-m-vanni/.

2 Per costruire la Mappa n.1 mi sono rifatto ai seguenti libri: AAVV, “La Battaglia del Monte Gottero”, ISR, 1970; Gimelli, Giorgio (a cura di Franco Gimelli), La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, Carocci, 2005; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; Battistelli, Pier Paolo, La Wermacht in Italia 1943-1945.Wehrmacht. Waffen-SS. Organisation Todt. SS e Polizei, Agrafe, 2022, nonché a vari documenti presenti in AISRSP.

3 Per costruire la Mappa n. 2 mi sono servito della Testimonianza di Giuseppe Mirabello “Apollo”, che fu impegnato, a capo del suo Distaccamento, tra Serò, Imara e Valle Oscura (in una carta militare del 1930 detta “Valle Scura”), confrontandola con le testimonianze di Saverio Sampietro “Falchetto” e Ottavio Chiappini “Lepre” (v. AISRSP) e con altri documenti di Archivio.

4 Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM alla memoria, muore, in combattimento, a Pieve di Zignago, il 4 marzo 1945

5 A proposito della popolazione, va ricordato brevemente, in questa sede, che essa non solo diede aiuto morale e materiale, ma che quella di Serò (dove si trovavano un Distaccamento del Battaglione “Vanni” e una Compagnia di “Giustizia e Libertà”, quest’ultima agli ordini di Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM alla memoria, in seguito catturato sul Dragnone e poi fucilato (V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/03/Pagani-Giovanni-largo.pdf), partecipò direttamente, prendendo le armi, ai combattimenti.

6 Tra essi, quello di Giuseppe Mirabello “Apollo” (V. Testimonianza).

Autunno 1943/ gennaio 1944: alcuni lineamenti di storia resistenziale spezzina e lunigianese, leggendo Giulivo Ricci.

A cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello*

(* Presidente e Vice Presidente Fondazione ETS ISR La Spezia)

Abbiamo deciso, come ISR-La Spezia, di dedicare, in questi primi giorni del 2024, un ricordo a Giulivo Ricci1 che tanto ha scritto, tra l’altro, sulla Resistenza spezzina e lunigianese, consentendo a tutte/tutti noi, successivamente, di attingere al patrimonio prezioso che ha lasciato, sia per le storie narrate dai suoi libri, sia per la documentazione in essi contenuta.

Sicuramente, nel frattempo, la ricerca sul territorio è andata avanti, ma non dobbiamo mai dimenticare che, senza l’apporto di Giulivo Ricci, e di altri2 che, con passione, hanno indagato gli avvenimenti resistenziali, non sarebbe possibile a noi, oggi, integrare, approfondire, e, se necessario, emendare, la storia della IV Zona Operativa.

Abbiamo perciò pensato che fosse cosa buona, per ricordarlo, estrapolare alcuni passaggi contenuti nei suoi libri, dedicati ai primi nuclei di Resistenza che si formarono in maniera embrionale nel territorio spezzino e lunigianese (con riferimento alle vicende spezzine), volgendo perciò lo sguardo a quello che accadde tra autunno 1943 e fine gennaio 1944, riguardo:

1) al gruppo misto, fondamentalmente composto da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della successiva Brigata garibaldina “Ugo Muccini”;

2) al gruppo di Torpiana (Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”;

3) al delinearsi della figura di Gordon Lett;

4) al Gruppo “Bottari”; al Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”, di aderenza azionista.

I brani, necessariamente selezionati, tratti dai libri di Giulivo Ricci, sono collocati tra virgolette3; i raccordi esplicativi tra essi, scritti in corsivo, sono curati da chi ha scritto questo articolo, e sono ripresi, ma solo in parte, da lavori on line, già pubblicati da ISR nel proprio sito, vedi: Lessico della Resistenza e Le vie della Resistenza.

  1. Argomento: Gruppo misto, fondamentalmente formato da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della futura garibaldina Brigata “Muccini”

Zone di riferimento: Val di Magra, Tresanese (Lunigiana), Prede Bianche (tra Val di Magra e Val di Vara).

A Sarzana il Partito Comunista, aveva un gruppo fortemente determinato, che, nonostante le varie ondate di arresti, persisteva, in qualche modo, dal Ventennio fascista. A capo di esso era Anelito Barontini4, per cui, già a ridosso dell’8 settembre 1943, sulle colline retrostanti la città, aveva trovato collocazione un nucleo di ispirazione comunista, articolati tra la Ghiaia di Giucano, Prula, Monte Nebbione. Comandante militare del gruppo, come tale generalmente riconosciuto, era Emilio Baccinelli5, mentre Paolino Ranieri6 assumeva di fatto il ruolo di Commissario politico. L’ obiettivo era quello di tessere le fila organizzative nella bassa Val di Magra, tra Lerici, Vezzano, Arcola, Santo Stefano e Sarzana, dove, non a caso, furono compiuti attentati di tipo gappistico7, fermo restando che l’attività dei GAP altro non era se non un’emanazione dei gruppi dimoranti sulle colline.

Nel frattempo si era formato un gruppo santostefanese, avente come riferimento Primo Battistini8 (che in seguito si chiamerà “Tullio”).

pp. 49-509

“Dalla zona di Caprigliola, intanto, Primo Battistini, che a queste operazioni gappistiche diede un suo contributo insieme con Emilio Baccinelli, si era spostato sotto la Casa Bianca, alle Prade di Falcinello, in casa di un Musetti. Lì i sarzanesi, e soprattutto Dario Montarese (Briché)10 e Paolino Ranieri (Andrea), lo avvicinarono e, da quel momento, i rapporti, nonostante una certa autonomia dei due gruppi saranno mantenuti; dovendosi fin da ora sottolineare che quanto l’antifascismo e la professione di fede comunista dei vecchi carcerati e confinati politici erano provati, meditati e volti a considerare globalmente i problemi dell’ora, tanto l’antifascismo di ‘Tullio’ era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente dei freni che i primi avrebbero voluto a buon diritto imporre”.

Nota 21, p. 5411

“’Tullio’ era poi tornato per qualche tempo verso Caprigliola e Santo Stefano, perché era stato avvertito che alcuni giovani intendevano unirsi ai ‘ribelli’: questi erano, tra gli altri, Adalberto Signanini [NdR12: in realtà Cesare Signanini13 “Adalberto”], il cui padre, in contatto con il CLN, era addetto alla mensa dello Stabilimento ‘Muggiano’…”

A seguito dei colpi di mano gappistici, e per eventuali azioni di antiguerriglia fasciste, alcuni esponenti del gruppo sarzanese si misero alla ricerca di un luogo dove potersi trasferire in sicurezza, individuandolo, dopo avere a lungo girovagato, nella località Trambacco, Comune di Tresana (MS), non lontana da Bolano (SP) e da Podenzana (MS). Al Trambacco andò anche Primo Battistini.

pp. 56-5714

“Un primo gruppo nel quale si trovavano, tra gli altri, ‘Briché’, Pilade Perugi, ‘Tullio’, Luciano Magnolia, Emilio Baccinelli, Guglielmo Vesco ed Ernesto Parducci, partì il 27 dicembre15… Qualche giorno dopo arrivarono gli altri, da venti a trenta uomini in tutto: Paolino Ranieri, Ercole Madrignani, Flavio Bertone16, Goliardo Luciani, Giuseppe Podestà, Angelo Tasso, Amedeo Luigi Giannetti, Lino e Ottorino Schiasselloni, i fratelli Forcieri e il figlio del vicesindaco socialista di Sarzana, Lanfranco Sabbadini (‘Cesare’); insomma i componenti dei nuclei già costituiti fra i Succisi di Caprigliola, Ponzano e Falcinello.

Al Trambacco si portavano anche Anelito Barontini, Giovanni Albertini del Canaletto, che era stato uno dei primi dirigenti giovanili comunisti clandestini ed aveva patito il confino di polizia nel 1933, e Anselmo Corsini che, con l’Albertini e Barontini, dopo l’8 settembre 1943 faceva parte del Comitato Federale del PCI… E al Trambacco, secondo autorevoli testimonianze, da altri non accolte, si sarebbe costituito ufficialmente per la prima volta un distaccamento garibaldino nel nome di ‘Ugo Muccini’”.

Svariate furono le azioni compiute avendo come base di partenza il Trambacco, da cui talvolta si allontanavano anche, per incombenze varie, alcuni uomini; lo stesso Anelito Barontini dovette rientrare, insieme ad Anselmo Corsini, alla Spezia, dove era stato nominato segretario del PCI al posto di Terzo Ballani, che aveva retto di fatto la Segreteria fino ad allora.
La permanenza al Trambacco si rivelò dunque impossibile per motivi logistici. Il gruppo, costituito in prevalenza da sarzanesi, girovagò alquanto.

pp. 59-6017

“Anche nella guerra per bande occorreva [NdA= secondo il PCI] fare di più: quella di Ranieri, di Montarese, di ‘Tullio’ ‘sganciatisi’ al Trambacco, era in effetti l’unica banda che il PCI spezzino fosse riuscito a conservare, ma ora essa si trovava a mal partito, proprio mentre altre forze politiche antifasciste, antinaziste e socialiste, tra Vezzano e la Val di Vara, usufruendo dell’apporto di ex-ufficiali dell’esercito italiano come Franco Coni, Pietro Borrotzu18 e il colonnello Bottari19, stavano attivamente cospirando e tessendo la tela di un’organizzazione guerrigliera di stampo ‘badogliano’, ma politicamente influenzata o influenzabile dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione…

…Le condizioni di vita al Trambacco apparvero, dopo poco tempo, tali da non consentire una permanenza…

Sta di fatto che la comunanza si sciolse, profilandosi l’esigenza della ricerca della possibilità di sopravvivere in attesa che si ricreassero le condizioni per la ripresa della lotta.

Un gruppo costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, poco dopo oltre la metà di gennaio decise di rifugiarsi a Zerla, villaggio in Comune di Albareto…”.

Di tale gruppo sarzanese facevano parte, in quel momento, Paolino Ranieri, Podestà, Vesco, Montarese, Goliardo Luciani, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Essi però vennero rapidamente individuati, dovettero varcare il Monte Gottero, recarsi a Popetto nel Comune di Tresana (MS) e, infine, tornare indietro, tra Forte Bastione e Vallecchia, tra il Comune di Fosdinovo e quello di Castelnuovo Magra.

Tra i “ribelli” del Trambacco c’era tuttavia, come già detto, anche una decina di uomini che, raccolti intorno a Primo Battistini, preferirono, dopo aver lasciato quella zona, andare verso l’alto, alle Prede Bianche, tra Val di Vara e Val di Magra, dove rimasero fino al 30 gennaio 1944, quando, sorpresi da un attacco nemico, ebbero un morto e tre prigionieri. Si salvò, con alcuni, grazie a uno stratagemma, Primo Battistini.

Ritroveremo Primo Battistini, qualche elemento del primitivo gruppo sarzanese-santostefanese ed altri, arcolani e spezzini, nel frattempo confluiti verso il Parmense, impegnati nell’ambito della così detta banda “Betti”, quando, il 12 marzo 1944, avvenne, a Valmozzola, il famoso assalto al treno. Ma questo avvenimento, molto importante, sarà raccontato a parte.

  1. Gruppo di Torpiana (Val di Vara, Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”20
  2. Gordon Lett21

Zone di riferimento: Zignago (Torpiana) e Rossanese (Zerasco)

Il primo nucleo organizzato dal Partito d’Azione sul territorio spezzino è ascrivibile a Torpiana di Zignago, dove, a partire dall’autunno 1943, operano azionisti genovesi con la collaborazione di quelli spezzini. A tale proposito, si possono citare i nomi dei genovesi Giulio Bertonelli “Balbi”22, importante figura di riferimento del Partito d’Azione ligure, Edoardo e Gaetano Basevi, Antonio Zolesio, Pier Lorenzo Wronowski, mentre sono autoctoni i Bogo, i Ferretti, i Benelli e Livio Acerbi.

Il nucleo di Torpiana, che si sviluppa appunto nell’inverno 1943-1944, stringe anche importanti rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza: al comando degli inglesi è il Maggiore Gordon Lett.

p. 42-4323

“… La posizione geografica [NdR: di Torpiana] offriva notevoli garanze per i requisiti che le erano propri, il trovarsi cioè quel villaggio all’interno di un Comune, Zignago, completamente privo di strade rotabili, Sufficientemente lontano dalle vie di comunicazione principali ma non tanto da ostacolare un rapporto od un contatto con il mondo ‘esterno’ ai fini del collegamento con la stessa città capoluogo di provincia, oltre che con altri ‘centri’ cospirativi e logistici, primo fra tutti Brugnato, punto di riferimento obbligato e tappa ineliminabile tra la Spezia e l’Alta Va di vara e, per sentieri e mulattiere impervi, Calice al Cornoviglio, Zeri, Rossano e la Val di Magra… A queste condizioni proprie dell’ambiente fisico si aggiungevano le caratteristiche dell’ambiente umano, di una popolazione ospitale, che aveva subito passivamente il fascismo, che aveva anzi visto non pochi tra i suoi figli rifugiarsi in Francia e in America durante il ventennio e, con l’invasione tedesca, divenire partigiani nella Resistenza d’Oltre Alpe. Altri fattori sostanziali vanno ricercati nel fatto che un esponente antifascista, qualificatosi su scala regionale, come Giulio Bertonelli, che già abbiamo più volte incontrato, fosse nato proprio in Comune di Zignago e mantenesse rapporti con la terra di provenienza, e che a Torpiana si trovassero, rifugiativisi per sfuggire alle persecuzioni razziali, i genovesi Edoardo e Gaetano Basevi, cugini, i quali si metteranno in contatto con un loro conoscente, il dottor Antonio Zolesio, che svolge a Genova attività cospirativa nell’ambito del partito d’Azione ed è già in contatto con altri noti antifascisti. E neppure va dimenticato che dal 15 ottobre 1943 a Rossano di Zeri, villaggio posto oltre la catena montuosa ma a pochi chilometri in linea d’aria da Torpiana, era capitato Gordon Lett, ex prigioniero di guerra, insieme con il sergente australiano Bob Blackmore, che poi abbandonerà il maggiore inglese e passerà alla G.L., il fuciliere Mick Micallef ed altri.”

p. 4324

“Nei primi tempi, come del resto in molti italiani, predominava in Gordon Lett la preoccupazione di non rischiare la vita, neppure con l’attraversamento delle linee del fronte, dal momento che ci si illudeva in una assai rapida fine del conflitto. Secondo un esponente della guerriglia tra Vara e Magra25, il Lett era, in quei tempi, convinto che il rischio non valesse la candela.

Chiusa momentaneamente questa parentesi su Lett, che sarà più volte riaperta, aggiungiamo subito che come in altre località di campagna e di montagna, anche a Torpiana ed in altri villaggi del Comune di Zignago e dei comuni limitrofi, avevano trovato ospitalità militari sbandati di ogni arma, soprattutto meridionali, impediti ed ostacolati a rientrare nei paesi nativi dalla divisione in due della penisola, configurantesi ormai in ‘Italia liberata? E in ‘Italia occupata’.

Tutti questi fattori, a loro volta, avevano agito fortemente nel senso di creare un’atmosfera di libertà e di speranza, di modo che le chiamate alle armi del governo di Salò non avevano conseguito risultati concreti; e materiale umano per l’opera di cospirazione e, poi, di lotta armata, stava maturandosi, pronto per i ruoli di collaboratori, d’informatori, di combattenti.”

p. 4526

“Secondo i ricordi del Bertonelli, l’inglese, ufficiale effettivo dell’esercito, concepiva i futuri partigiani italiani come una specie di legione straniera dell’esercito di Sua Maestà britannica. In ogni modo, la discussione [NdR: tra Bertonelli e Gordon Lett, durante un incontro avvenuto, secondo Giulivo Ricci il 1 novembre 1943] servì a chiarire a Gordon Lett quale fosse invece il concetto dominante deli antifascisti italiani, che si dichiararono pronti a stabilire un contatto tra lui e l’Inghilterra, dal quale sarebbero potuti uscire esiti favorevoli alla progettata collaborazione nella lotta contro il comune avversario. In effetti, gli azionisti milanesi, con Parri, avevano istituito un servizio di comunicazioni con la Svizzera e a Genova il Prof. Ottorino Balduzzi era riuscito a collegarsi con la Corsica. La lettera che il maggiore Gordon Lett consegnerà al Bertonelli giungerà a Londra prima di Natale.”

  1. Gruppo Bottari; Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà” di aderenza azionista

Zone di riferimento: Vezzano Ligure, Calicese e Val di Vara.

Il nucleo ascrivibile al Calicese, cui afferisce un’area punteggiata da varie realtà, si sviluppa, sempre a partire dall’autunno 1943, dapprima con l’obiettivo di darsi una struttura organizzativa e, dal febbraio 1944, anche con scopo operativo.

Si formano inizialmente tre gruppi: uno in Località Borseda (con Ferdana, Garbugliaga, Beverone), uno in Località Debeduse (con Lavacchio Terrugiara e Vicchieda); uno in Località Villagrossa allargatosi poi a Santa Maria, Molunghi; Calice-Campi-Nasso; Suvero; Veppo e Casoni; Castiglione Vara.

Gli aderenti di Borseda, Debeduse e Villagrossa, partecipano al primo incontro di coordinamento, che ha luogo presso il cascinale Buscini, in località Debeduse, già il 19 ottobre 1943: promotore e coordinatore dell’incontro stesso è il Tenente Daniele Bucchioni27.

Si muove anche la frazione di Madrignano; Piana Battolla, Follo e Pian di Follo, dove esplicano un’intensa attività il capitano Orazio Montefiori (“Martini”)28 e Fernando Chiappini, collegatisi poi con il movimento già sorto a Vezzano Ligure29, mentre a Valeriano troviamo Amelio Guerrieri30.

Particolare incidenza assume, in questo quadro, la figura di don Carlo Borelli31, parroco di Follo Alto, che diventerà poi cappellano di GL.
Sempre a Follo-Bastremoli va ricordata la figura di Agostino Bronzi32, insigne militante socialista che lì risiede e che, in un certo senso, assume la funzione di tramite con il gruppo di Vezzano Ligure.

p. 33-3433

“Un punto di riferimento obbligato per chi voglia affrontare il problema generale della Resistenza alla Spezia, quello particolare della nascita delle prime formazioni patriottiche combattenti e, in maniera speciale, dei prodromi e dei primi passi dei nuclei che daranno vita alla Brigata d’Assalto Lunigiana e, successivamente, alla Colonna GL, è costituito dal Gruppo ‘Bottari’’… Il movimento sorto a Vezzano Ligure dall’innesto del patriottismo di derivazione legittimistico-militare sul vecchio tronco antifascista e socialista locale viene condotto in modi e forme diverse con l’attività politica del centro cittadino, con elementi azionisti e, ad un certo punto, fornirà alcuni dei quadri più qualificati all’organizzazione e alla direzione della guerriglia in Val di Vara… La presenza a Vezzano Ligure del colonnello Giulio Bottari34, ufficiale in SPE, reduce dalla Russia e in licenza, di orientamento chiaramente antifascista, del maresciallo Luigi Dallara, del marinaio Baviera è fattore assai importante di mobilitazione, specie verso il recupero delle armi.

Il colonnello Bottari è messo in contatto con l’ambiente socialista spezzino, con l’avvocato Agostino Bronzi, con Pietro Beghi35, con Rodolfo Locori e Vincenzo Puglia. Le idee divergono: il colonnello, in linea con la sua mentalità, tende alla costituzione di nuclei e gruppi composti esclusivamente da militari, ovviamente i dirigenti socialisti sono di altro parere.

Questo iniziale contrasto non impedisce la collaborazione. Un salto di qualità è operato dall’arrivo in paese del tenente sardo Piero Borrotzu36 -cugino di Antonio Ferrari- subito diventato infaticabile animatore e attore del movimento patriottico37.”

p. 3538

“ D’altra parte le località39, in cui si erano sprigionate queste preziose scintille, non presentavano le caratteristiche proprie delle terre atte alla guerriglia Né tanto meno quelle di un ambiente aggregante per il confluire di quegli elementi e fattori diversi, indispensabili al crearsi delle condizioni favorevoli al nascere, allo sviluppo e alla direzione della lotta armata… queste condizioni… potranno trovare la possibilità di concretarsi a Torpiana40, nel montano Comune di Zignago, in Val di Vara, quasi al confine con il territorio della provincia di Massa Carrara.”

Se questo succedeva nelle varie aree geografiche sommariamente delineate, va anche ricordato che, contemporaneamente, soprattutto in città, alla Spezia, muoveva i suoi primi e non facili passi il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale (CLNp)41, istanza unitaria delle forze politiche antifasciste.


Note

1 Giulivo Ricci, nato ad Aulla il 27 gennaio 1924 e morto a Fivizzano il 23 settembre 2009, caratterizzato da profondi e molteplici interessi per la terra di Lunigiana, cui ha dedicato numerosi scritti a carattere culturale (a lui è intitolato il Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi, che fondò), si volge, già dagli anni Settanta del Novecento, alla tematica della Resistenza, collaborando proficuamente con l’Istituto Storico della Resistenza spezzino, sorto nel 1972. All’inizio degli anni Ottanta, Ricci partecipa attivamente alla costituzione dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, di cui poi sarà anche, per un lungo periodo, Presidente. Citiamo, per un invito alla lettura e per eventuali ricerche, i seguenti volumi di Giulivo Ricci, che fanno parte, insieme ad altri dello stesso Autore, della dotazione libraria di ISR La Spezia: Avvento del fascismo, Resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra (1975), Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana (1976), Storia della Brigata Matteotti-Picelli (1978), Storia della Brigata garibaldina Ugo Muccini ( 1978), I verbali delle sedute del Comitato comunale di liberazione nazionale di Aulla ( 1978), La Spezia combatte in Valsesia (1980), Resistenza in Lunigiana e fuoruscitismo apuano (1984), La Colonna Giustizia e Libertà (1995), La Brigata garibaldina Cento Croci, a cura di Giulivo Ricci, Varese Antoni e altri, ( 1997), Dalle montagne di Lunigiana (1999), Diserzione renitenza alla leva in Lunigiana durante la Repubblica di Salò (2000), I gruppi di Merizzo e di Monti (2002), Itinerari della resistenza Apuana (2004) Tra gli innumerevoli Convegni e iniziative culturali che promosse, va citato, a proposito di Resistenza, l’importante Convegno “Retrovie della Linea Gotica occidentale. Il crocevia della Lunigiana” che si svolse, nel 1986, ad Aulla, Pontremoli e Fivizzano, di cui curò anche la pubblicazione degli Atti. [NdR: per la data di nascita e di morte si ringrazia Paolo Bissoli, Presidente ISRA).

2 Cercheremo, nel corso dell’anno 2024, di ricordare, in qualche modo, specie attraverso stralci dai loro scritti, anche altri storici e/o appassionati di storia, che, ormai deceduti, hanno trattato il periodo resistenziale spezzino.

3 Non si riportano però le lunghe e documentate Note di Giulivo Ricci. Le Note dell’articolo, molto brevi, sono state curate dalle redattrici, facendo spesso riferimento a materiale on line nel sito ISR.

4 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

5 V. GAP Gruppi Azione Patriottica

6 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

7 V. GAP Gruppi Azione Patriottica

8 V. Battaglione M. Vanni e Brigata Garibaldi U. Muccini

9 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

10 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

11 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

12 NdR: Nota delle Redattrici dell’articolo.

13 Nell’estate 1944 il primo nome della Brigata “Vanni” (Comandante Primo Battistini “Tullio”), essendo, nel frattempo, Signanini morto, sarà proprio quello di “Signanini”.

14 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

15 1943.

16 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2017/04/Bertone-Flavio-Luigi-piazza.pdf

17 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, cit.

18 V. successivamente in questo articolo.

19 V. successivamente in questo articolo.

20 V. Colonna Giustizia e Libertà

21 https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Calice-Lett-Gordon-via.pdf

22 Giulio Bertonelli, esponente di primo piano del Partito d’Azione in Liguria, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/10/Zignago-Bertonelli-Giulio-piazza.pdf

23 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.

24 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

25 Giulivo Ricci si riferisce, come dichiara in una Nota, a Ezio Giovannoni, esponente di GL, capo del SIM (Servizio Informativo Militare) IV Zona Operativa.

26 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

27 V. Battaglione Val di Vara

28 V. Colonna Giustizia e Libertà

29 V. Paragrafo seguente.

30 Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, diventerà poi Comandante del Battaglione “Zignago-Gindoli” della Colonna “Giustizia e Libertà”.

31 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Follo-Borelli-don-Carlo-piazza.pdf

32 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf

33 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

34 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf

35 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Beghi-Pietro-Mario-via.pdf

36 Medaglia d’oro al VM alla memoria. V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf

37 Va ricordato, insieme a lui, Franco Coni, anch’egli sardo, sottotenente dell’Esercito e suo amico. V. 1a Compagnia Arditi

38 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.

39 Le località comprese da Ricci, e di cui parla, vanno anche oltre il Calicese.

40 Di Torpiana si è già parlato nei Paragrafi precedenti.

41 V. C.L.N. La Spezia

NB
In copertina Giulivo Ricci all’inaugurazione della lapide in ricordo della Resistenza a Codolo di Zeri nel 2002 (part.).

“Rispolveriamo” la storia. 1943-1945: incontri, mostre, itinerari, proiezioni

“Rispolveriamo” perché il verbo indica chiaramente, da un lato, la necessità di togliere la polvere, che spesso si accumula comunque sui fatti storici, impedendo una conoscenza di essi, ma anche quella di rimuovere, sempre in un’ottica critica, smemoratezze e oblio.

Deriva da tale premessa un impianto che si prefigge di affrontare l’arco 1943-1945 in un’ottica complessiva, rivolta a destinatari con diverse esigenze.

Proprio perciò, a fianco delle manifestazioni di tipo celebrativo-commemorativo, un vero e proprio “calendario civile” articolato secondo le principali date di riferimento e curate dal Comitato Unitario Resistenza,

  • conferenze di inquadramento, corrispondenti a ciascuno dei tre anni previsti;
  • produzione di un fumetto (entro aprile 2024) dal titolo provvisorio “I Sentieri della Libertà a fumetti”:
    Studenti della Scuola Secondaria di II grado, supportati in ambito tecnico e storico, si fanno narratori di tante storie, mentre gli alunni della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria di I grado diventano i destinatari-fruitori;
  • conoscenza dei fatti attraverso i documenti:
    escursioni documentarie guidate presso l’Archivio Storico ISR, l’Archivio di Stato della Spezia e, se possibile, all’Archivio delle grandi fabbriche spezzine;
  • conoscenza del territorio: la geostoria
    imparare a leggere le tracce degli avvenimenti che nel tempo si sono succeduti, con particolare riferimento a quelli dell’arco 1943-1945, quindi escursioni a carattere didatticoper conoscere monumenti/cippi/lapidi o luoghi significativi;
  • ciclo di proiezioni filmiche Memoria visibile
    con lo scopo di trasmettere, attraverso l’immediatezza e densità del linguaggio filmico, il valore irrinunciabile della memoria storica.
  • ciclo “Incontri con la Storia”: leggere, dialogare, pensare

e… poi mostre sulla Deportazione, sulla Resistenza…

Dalla pagina 80° anniversario della Liberazione“, raggiungibile anche dal menu principale, si potrà seguire lo sviluppo del progetto: gli eventi e le attività già svolte verranno di volta in volta collegate a pagine descrittive con relativi contenuti.

giugno 1944: il Segretario del PCI alla Spezia

Tanti dubbi, alcuni documenti, una possibile ipotesi su chi fosse Segretario del PCI all’inizio di giugno 19441

Anelito Barontini, Segretario della Federazione comunista spezzina, ormai attivamente ricercato alla Spezia, dopo il successo degli scioperi operai del marzo 1944, era stato trasferito a Genova, dove sarebbe poi diventato Commissario politico della VI Zona Operativa.

Arrivarono così alla Spezia Giovanni Rosso “Luigi” e Giuseppe Poggi “Franco”. D’altra parte, la Federazione spezzina era piuttosto carente come quadri dirigenti, ed era necessaria una implementazione qualitativa, possibilmente con volti sconosciuti alla locale vigilanza fascista.

Se leggiamo i passi storiografici finora editi riguardanti tale avvicendamento2, troviamo che Poggi era Segretario del PCI spezzino e tale rimase fino alla sua drammatica scomparsa nella notte del 28 giugno 1944, a Pian di Follo, dove si era recato, fondamentalmente per individuare una posto che ospitasse una tipografia clandestina. Dopo tale tragico fatto gli sarebbe subentrato Antonio Borgatti “Silvio”, che resse tutta la rete clandestina al piano, nel territorio spezzino, fino alla Liberazione, andando via dalla Spezia per incarichi nazionali nel Sindacato CGIL, a Roma, nel novembre 1945.

Poiché nel libro “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, di Antonio Borgatti (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 20223, lo stesso Borgatti afferma di essere arrivato alla Spezia in concomitanza con la liberazione di Roma, rivestendo la funzione di Segretario, aggiungendo di avere scritto in tale occasione il primo volantino4 della lunga serie che in seguito avrebbe redatto, mi sono posta il problema di chi fosse realmente ai primi di giugno 1944 Segretario della Federazione provinciale comunista: Poggi (come dato per scontato finora) o Borgatti?

La curiosità potrebbe denotare, in sé, una eccessiva, e perfino inutile, ricerca del “certo”5, ma potrebbe anche rivelarsi importante, nel caso in cui si debbano attribuire alla responsabilità di qualcuno, documenti del PCI risalenti al giugno 1944.

Ho perciò riflettuto su quanto dice “Silvio”, nel libro citato, a p. 85, dove afferma chiaramente di avere assunto la funzione di Segretario del PCI, arrivando alla Spezia, specificando ulteriormente, a p. 88, i compiti assolti da lui, da Giovanni Rosso “Luigi”6 e da Giuseppe Poggi “Franco”7: “Con ‘Luigi’ e ‘Giulio’8 ci dividevamo i compiti. Luigi si occupò in prevalenza del lavoro militare, ‘Giulio’ della riproduzione e della distribuzione della stampa, io del coordinamento organizzativo, del collegamento con la regione…”e ripete la stessa cosa nella “Relazione sull’attività del Comitato Federale dal 1939 all’agosto 1945”, Federazione provinciale di La Spezia, datata 15 agosto 1945, e firmata “La Segreteria Federale”, cioè, in definitiva curata dallo stesso Borgatti9, dove scrive: “Alla fine di maggio10, raggiunse la Spezia il compagno Borgatti (‘Silvio’)11 quale responsabile della Federazione.”

Ho allora cercato di capire meglio e di trovare possibili punti di appoggio. Da ulteriori documenti consultati12 risulterebbe confermata la versione di “Silvio”. Infatti esiste, relativamente al PCI spezzino, un documento manoscritto, datato “maggio 5 1944”, redatto da “Il Responsabile politico”, la cui grafia è diversa13 da quella risultante in un altro documento, anch’esso scritto a mano, intitolato “Rapporto del 2-6-44” (nella chiusa è riportata la data del 3 giugno 1944). Il secondo documento è, con grande probabilità, scritto da Borgatti. Il Rapporto corrisponde, sebbene semplicizzato, come struttura di paragrafi, alla tipologia che sarà, all’incirca, ripetuta poi sempre nelle Relazioni di “Silvio”. Questo deporrebbe a favore del fatto che, nel momento in cui Borgatti arriva alla Spezia, rivesta già la funzione di Segretario14.

Tuttavia, il metodo della ricerca, che apre sempre nuovi scenari, potrebbe riservare, anche riguardo alle massime cariche spezzine del PCI nel giugno 1944, ulteriori sorprese.

Alla prossima!

Riproduciamo di seguito le schede tratte da https://partigianiditalia.cultura.gov.it, relative ai tre personaggi di cui l’articolo ha fondamentalmente trattato.

Scheda di Giuseppe Poggi
Scheda di Antonio Borgatti
Scheda di Giovanni Rosso

NOTE

1 Questa ricerca è stata condotta collateralmente al filone centrale dello studio sulla Brigata, poi Battaglione “Vanni”, garibaldino, e perciò tendenzialmente, anche se non unicamente, legato alla componente ideologica comunista.

2 Se ad esempio seguiamo “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana” di Antonio Bianchi (Editori Riuniti, 1975), p. 309, vediamo che a sostituire Barontini “Sul fronte cittadino [NdA: cioè alla Spezia] era chiamato Giuseppe Poggi (‘Franco’) di Sestri.” A p. 311 dello stesso libro è inoltre scritto che Poggi sarà sostituito, dopo la sua morte, da Borgatti. Giulivo Ricci nel libro “Storia della Brigata garibaldina ‘Ugo Muccini’. Brigate partigiane della IV Zona Operativa”, ISR Pietro Mario Beghi, La Spezia, 1978, a p. 217, dice che Giuseppe Poggi “Aveva sostituito nella direzione del Comitato federale Anelito Barontini” e, a p. 218, specifica che il tragico evento della morte di Poggi “Privava la Federazione comunista del suo massimo dirigente.”

3 Il libro, importante, e soprattutto prezioso per i fatti della Resistenza spezzina, è uscito molti anni dopo la morte dell’Autore, scomparso nel 1991.

4 V. AISRSP, Fondo III, Attività Politica, Serie 4, PCI La Spezia, B 654, 2653, 2654, 2655.

5 E’ noto come il “certo” e il “vero” non necessariamente coincidano, avendo bisogno il “vero” di una più complessa riflessione.

6 Giovanni Rosso era stato “prelevato”, a Savona, dalla staffetta spezzina Rina Gennaro “Anna”.

7 Occorre puntualizzare che Borgatti parla in chiaro del cognome, quanto al nome, lo chiama “Giulio”. In realtà, se andiamo nelle schede di riconoscimento di https://partigianiditalia.cultura.gov.it, che sono collocate in fondo all’articolo, troviamo che il nome di battaglia, con cui, tra l’altro, è ricordato in IV Zona Operativa, è “Franco”. Il fatto che Borgatti lo chiami “Giulio”, può essere spiegato così: o nella precedente esperienza di partito l’aveva conosciuto con questo nome, oppure, poiché lo stesso Borgatti ironizza sulla sua personale difficoltà a ricordare i nomi, attribuisce a “Franco” l’appellativo di “Giulio”. Della sua idiosincrasia per i nomi Borgatti parla anche in occasione del suo fortunoso arrivo alla Spezia, quando deve recarsi in un luogo convenuto chiedendo di “Giulio”, invece si sbaglia e chiede di “Giorgio”. V. “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, p. 88, cit. Si può infine osservare che un “Giulio” arrivò davvero in IV Zona Operativa, da Genova, ma qualche mese dopo.

8 V. quanto già detto sullo scambio di “Giulio” e “Franco”.

9 Archivio Istituto Gramsci (Aig), Bologna.

10 Nella Relazione, quindi, retrodata di pochissimi giorni il suo arrivo, rispetto a quanto scritto in “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”.

11 Abitudine di Borgatti è, in genere, nelle Relazioni, quella di parlare di sé in terza persona, per esporre i fatti guardandoli come osservatore. Talvolta, però, anche in esse, affiora la prima persona, specie nel caso di una maggiore partecipazione emotiva.

12 I documenti sono in Fondazione Gramsci, Partito comunista italiano. Direzione Nord (1943-1945), Liguria e singole città, “13. La Spezia”.

13 Le grafie sono senza dubbio diverse. Il problema è stato quello di capire a chi appartenesse la grafia di giugno 1944. L’ho così confrontata con scritti sicuramente di Borgatti, perché firmati da lui (nel libro cit., v., ad esempio, una sua lettera a p. 34). Ho poi chiesto lumi a Vega Gori “Ivana” (1926-vivente), che ha lavorato ininterrottamente a fianco di Borgatti stesso, una volta arrivato alla Spezia, trascrivendo le sue minute a macchina. A riprova di ciò, va aggiunto che, nel suo libro di memorie, Borgatti la nomina come “Ivana”, senza cognome, in più punti. Nel presentarla, a p. 89, dice, tra l’altro: “Le spiegai i suoi compiti e fino alla Liberazione mi fu valida collaboratrice sia quale dattilografa, sia per i collegamenti”. Secondo “Ivana”, che non ama, a tanti anni di distanza, ostentare sicurezze, la grafia potrebbe appartenere a “Silvio”.

14 Poggi potrebbe dunque essere arrivato alla Spezia come Segretario, prima di “Silvio”, rimanendo poi alla Spezia, piuttosto debole come quadri, anche dopo l’arrivo di Borgatti, svolgendo però, fino alla sua drammatica scomparsa, una mansione diversa.

Ricerca storica e riflessioni (Battaglione garibaldino “Melchiorre Vanni”) #4

Apporto internazionale alla Resistenza spezzina: il caso della Brigata, poi Battaglione “Vanni”1

A cura di Maria Cristina Mirabello

L’apporto di stranieri alla Resistenza italiana e spezzina è cosa ormai nota2, fatto più particolare è che nel Battaglione “Vanni” ci fosse un Distaccamento composto tutto da elementi russi3.
Già nell’organico della Brigata Vanni4, datato settembre 1944, possiamo individuare, in fondo all’elenco, quattro nominativi di chiara origine russa. Ad essi dovettero aggiungersene altri5: a riprova di ciò abbiamo alcune pagine del partigiano Saverio Sampietro “Falchetto”, che ne parla diffusamente, aggiungendo particolari interessanti, sia sul numero, accresciutosi in cammino, sia sulle caratteristiche umane e di combattimento che li denotavano.

I russi vengono introdotti nella testimonianza di “Falchetto”6 in occasione di uno dei rari lanci effettuati dagli inglesi per la “Vanni”7, perché i componenti della missione inglese si erano impossessati di molti bidoni8 e, in tale frangente, i russi spararono loro addosso dicendo che erano capitalisti. Proseguendo, “Falchetto” afferma che venne deciso di formare una squadra con i russi che erano nella Brigata, e scrive9:

“Mi pare che avessero raggiunto il numero di 1310. Io dovevo essere il Comandante, ma rifiutai accettando l’incarico di Commissario, mentre il comando venne assunto da ‘Sergei’11, un ufficiale dell’Armata rossa…
Un ragazzo veramente in gamba (nativo di Tiflis sul Mar Nero) ed usava il mortaio in una maniera spettacolare…
Nella squadra dei russi, ricordo vi era oltre che a Sergei, ‘Tacibaio’12 originario dell’Afganistan che a suo dire era addetto ai trattori di un kolchoz, ‘Iasibaio’13 pure di origine mongoloide [Sic!], ‘Mirzaief’14 di origine caucasica il quale aveva sul corpo almeno dieci ferite e con un passato degno di un romanzo, un ragazzo che poteva essere alto m.1, 40, di una sveltezza, intelligenza e tenacia non comuni.
Sembrava una volpe, era stato fatto prigionieri dai tedeschi in Ucraina e portato in Polonia, da dove era scappato con i partigiani polacchi. Ferito e ripreso prigioniero in qualità di addetto ai quadrupedi era stato portato in Francia, da dove scappato era andato con i partigiani francesi.
Ferito e rifatto prigioniero, sempre quale addetto ai quadrupedi, era stato portato in Italia, da dove era scappato con gli altri suoi compagni ed era venuto con noi. Ricordo che vi era poi il caro e compianto ‘Ivan’, caduto poi durante il rastrellamento del 20 gennaio 45…
Era un ragazzo di 19 anni, alto almeno m.1,85 di origine caucasica con i capelli neri e lineamenti mediterranei, tanto che sembrava un meridionale, molto intelligente, serio ed affettuoso. Non mi lasciava mai e sembrava la mia guardia del corpo.
Vi erano, poi che ricordo, ‘Sultan’15 e un altro compagno russo anziani originari di Mosca, due maestri elementari, i quali mi parlavano sempre della loro casa lontana, dei figli della famiglia e delle loro tradizioni ed usanze.
Non ricordo i nomi degli altri cari compagni, ma mi rimase impresso il fatto che io credevo che questi russi fossero tutti comunisti, rimanendo meravigliato quando seppi che di questi 13 russi solo uno era iscritto al Partito Comunista ed era Tacibaio, mentre Sergei, che era oltre che un ufficiale anche un ingegnere, i due maestri di Mosca e gli altri, non erano iscritti e mi dicevano che in Russia per poter essere iscritti al Partito Comunista, bisogna esserne veramente degni, essere dei cittadini modello e che era un alto onore.”

A proposito dei rapporti umani “Falchetto” dice che la sera, intorno al fuoco, era particolarmente colpito dalle canzoni nostalgiche che cantavano e dalla loro tristezza per essere lontani da casa.

Tutti insieme inoltre, i russi nella loro lingua e gli italiani nella loro, cantavano la canzone “Mamma” e da tutto ciò si poteva trarre la riflessione che, nonostante l’abbrutimento derivante dalla guerra, albergassero in tutti i combattenti sentimenti di affetto verso i parenti, la casa ed i luoghi natii.

Passando alle caratteristiche più propriamente inerenti al modo di combattere, “Falchetto”, dice, a proposito dei russi inseriti nella Brigata “Vanni”:

“Inoltre vi era l’apporto dell’esperienza militare della mia squadra di russi, tutti combattenti incalliti e militari perfetti che si trovavano a completo loro agio nella Brigata. Ricordo le postazioni fatte da questi compagni russi sul Monte Zignago a ferro di cavallo che avevano riscosso dopo il 20 gennaio 1945, l’ammirazione degli stessi tedeschi quando sono riusciti a raggiungere la quota.”

Quanto ai comportamento e alla disciplina del Distaccamento russo, “Falchetto” ricorda il caso di ‘Mirzaief’. Quest’ultimo, nel corso di un pattugliamento notturno, aveva bevuto più di un bicchiere di grappa offerto dal fornaio di Serò e, probabilmente anche perché il suo stomaco era abbastanza vuoto a causa del vitto assai scarso, si era ubriacato, per cui Sampietro lo aveva redarguito.

Al Comando, “Ivan” e “Tacibaio”, che avevano sentito, informarono il Comandante Sergei, il quale voleva punirlo duramente, ma “Falchetto” aveva interceduto a suo favore, facendo presente che l’ubriacatura era probabilmente dovuta allo stomaco vuoto.

Tuttavia, sempre “Mirzaief”, rientrato qualche giorno dopo alle quattro del mattino da una guardia, insieme a “Falchetto” e ad altri, intirizziti per il freddo e con i crampi allo stomaco per la fame, aveva allungato nel buio la mano per impossessarsi di una manata di castagne secche16.

Essendo stato visto, a fronte di tale atto, i russi decisero che, poiché tale sottrazione privava gli altri di qualcosa che era comune, Mirzaief doveva essere fucilato. “Falchetto” chiese però di aspettare fino a quando non si fosse riunito il Comando della Brigata.

Dalla riunione emerse che i russi erano irremovibili sulla fucilazione. Si disse loro che il gesto di Mirzaief era deprecabile ma che la Brigata non poteva essere privata di un buon combattente. Alla fine, come scrive “Falchetto”:

“’Mirzaief’ venne condannato al palo mi pare per uno o due giorni e non ricordo bene se gli vennero inflitte 12 o 13 frustate quante erano le castagne secche rubate o una frustata per ogni russo, data dagli stessi.”

Sappiamo, sempre grazie alla testimonianza di “Falchetto”, ma anche grazie a uno scritto di Franco Mocchi “Paolo”, che il russo “Ivan” era presente durante l’attacco alla caserma di Borghetto Vara17 e che, rimasto ferito, venne portato via con il trucco del boscaiolo18. Ed ancora “Falchetto”, nella sua testimonianza, parlando del rastrellamento del 20 gennaio 1945, ricorda che “Ivan” morì nel corso di esso19.

Il Distaccamento russo, sempre basandoci sulla testimonianza di Saverio Sampietro, esiste dunque durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945 e, con riferimento a documenti di Archivio che possediamo, è considerato in forza ancora al 7 febbraio 1945.

C’è infatti un organico del Battaglione20 che ne riporta i nomi. Li elenco qui, per come li leggo, sottolineando nuovamente il fatto che ci sono forti dubbi riguardo alla correttezza grafica, ma che, non avendo fonti sicure di confronto, mi attengo a quanto recita il documento.
La lista, da me trascritta, segue fedelmente il documento originale; esso non ha un ordine alfabetico, e mette al primo posto il soprannome, poi il cognome e il nome: “Ararat” Uganescia Ararat, “Sultano” Sultan Papba, “Mirzaief” Umar Mirzaief, “Tacibaio” Giamel Tacibaio, “Zachirof” Charin Zachirof, “Iacibaio” Alicul Iacibaio, “Ivan” Rasolo Ivan21, “Daulato” Macmadale Daulato, “Alessandro” Illic Alessandro, “Nicolai” Covaliescki Nicolaio, “Radion” Cerniscio Radion, “Mamedof” Mamedof Alì, “Sergio” Ghevorchian Serghe, “Vassilli” Ghemeciuk Vassilli.

I russi vivono con il Battaglione “Vanni” il rastrellamento del 20 gennaio 1945, ma, in realtà, non ritornano a Pieve di Zignago dopo di esso22. Lo sappiamo da una serie di documenti di Archivio23: i russi, secondo l’elenco in tutto 14, a un certo punto non ci sono più.

Abbiamo notizia certa di ciò in carte successive. Giuseppe Grandis “Gisdippe”24, Ispettore della I Divisione “Liguria-Picchiara” va a ispezionare il Battaglione “Vanni” il 1 marzo 1945 e, nella sua articolata Relazione25, scrive:

“Non ritenni opportuno ispezionare i 16 26uomini dislocati al Chiaro di Mangia perché il reparto si trova disorganizzato in seguito all’improvviso ordine che porta via i russi dal Distaccamento, per far loro attraversare le linee27.”

In un documento immediatamente successivo28, il Comandante del Battaglione “Vanni”, Astorre Tanca, riferendosi alla visita di “Gisdippe”, per quanto riguarda il Distaccamento dei russi, osserva:

“L’Ispettore dichiara di non ritenere opportuno ispezionare gli uomini dislocati nel fondo Valle del Mangia poiché, dice, si trova disorganizzato in quanto non ci sono più i 1329 russi. La partenza dei 13 russi ha soltanto diminuito la forza effettiva del reparto, non l’ha affatto disorganizzato.”

Il documento non ha data ma, siccome la morte di Astorre Tanca (che firma il documento stesso) avviene il 4 marzo 1945, è presumibile ascrivere all’arco di tempo 2-3 marzo 1944 la risposta del Comandante.

Per capire se tutto il Distaccamento sia partito30, la mia ricerca si è estesa all’intero Registro Storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa: grazie ad essa, ho individuato alcuni nomi dei russi, già appartenenti al Battaglione “Vanni”, scritti in modo ancora diverso, ma riconoscibili grazie alla data di nascita coincidente, in altre formazioni partigiane (“Giustizia e Libertà” e Battaglione “Pontremolese”), in cui hanno avuto il riconoscimento ufficiale a fine guerra31.

Il Distaccamento32 russo del Battaglione “Vanni” (Archivio privato di Sandra e Paola Mocchi)

Note

1 La documentazione completa della vicenda sarà nel libro sul Battaglione “Vanni”, che sto attualmente scrivendo. L’articolo è dunque una sintesi di quanto al momento accertato. Riconosciuti nel Battaglione “Vanni” e presenti nel Registro “Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa” sono anche due polacchi, sui quali tornerò in un altro articolo, per altre vicende.

2 Per l’apporto di stranieri alla Resistenza spezzina, v. l’elenco in https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2022/08/Partigiani-o-Patrioti-stranieri.pdf (NB: l’elenco comprende solo i vivi, che hanno chiesto il riconoscimento di partigiano o patriota, dopo la Liberazione).
Per narrazioni sulle vicende inerenti a stranieri che hanno partecipato alla Resistenza spezzina, in alcuni casi sacrificando la vita, v.: Greppi, Carlo, Il buon tedesco, Laterza, 2021 (focalizzato fondamentalmente sulla figura di Rudolf Jacobs, tedesco e partigiano della Brigata “Muccini”, Medaglia d’argento al VM alla memoria); Pagano, Giorgio, Raccontatela per bene la nostra Resistenza (https://www.patriaindipendente.it/finestre/raccontare-per-bene-la-nostra-resistenza/), 26 aprile 2022.

3 Cioè sovietici, visto che appartenevano all’esercito dell’URSS. Adottiamo il termine “russi” perché viene usato comunemente da chi li ricorda. In realtà il termine non è onnicomprensivo delle varie nazionalità dell’URSS, cui essi appartenevano.

4 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Comando Brigata Garibaldi Melchiorre Vanni, B 496, 7673 A.

5 Si aggiungono, ma anche se ne vanno, o muoiono. Un russo, di nome Ivan (Rabez), presente a settembre, muore nel rastrellamento dell’8 ottobre 1944, avvenuto nel Calicese. V. anche nota 28.

6 Saverio Sampietro “Falchetto”, testimonianza in AISRSP (Miscellanea), 1974.

7 Dicembre 1944?

8 Secondo “Falchetto” i partigiani della “Vanni” lasciarono agli inglese i bidoni contenenti generi di conforto e vestiario, non rinunciando però a quelli contenenti armi e munizioni.

9 Nei brani citati non sono state apportate correzioni grafiche di alcun tipo, se non per la parola “kolchoz” ed “Armata”. Problematica è la questione dei nomi: li citiamo per come Sampietro li scrive, in forma sicuramente errata o parzialmente errata nella trascrizione dal russo all’italiano. Non è possibile fare un raffronto completo tra come egli li riporta e per come essi si trovano in documenti ufficiali, quali ad esempio il Registro storico dei partigiani e patrioti della IV Zona Operativa, o nel sito https://partigianiditalia.cultura.gov.it/, essendo la maggior parte di tali nomi non rintracciabile in queste fonti. C’è, d’altra parte, fondato dubbio che anche l’ortografia del Registro, così come quella delle schede riportate in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/, sia errata o parzialmente errata.

10 Paola e Sandra Mocchi, figlie di Franco Mocchi “Paolo”, Commissario Politico del Battaglione “Vanni”, mi hanno consegnato due fotografie dei russi: in una si contano 11 uomini, nell’altra 15. Ho scelto di pubblicare quella con il gruppo più numeroso, fidando che lì ci fossero tutti i russi (con la probabile presenza di un italiano).

11 “Falchetto” lo scrive così; nell’elenco che diamo successivamente è “Sergio” Ghevorchian Serghe. In modo ancora diverso appare nel Registro storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa, dove risulta Gevorchian.

12 “Tacibaio” Giamel Tacibaio, secondo l’elenco che diamo successivamente.

13 “Iacibaio” Alicul Iacibaio, secondo l’elenco che diamo successivamente.

14 “Mirzaief” Umar Mirzaief, secondo l’elenco che diamo successivamente.

15 “Sultano” Sultan Papba, secondo l’elenco che diamo successivamente.

16 Per capire la gravità del gesto, si tenga conto di quello che sempre “Falchetto” dice nello stesso scritto, a proposito della dieta dei partigiani: “Da parecchio tempo, la razione giornaliera era di una coppetta di farina di castagne bollita senza sale (la così chiamata ‘patona’ [NdA: pattona] o ‘papetta’) e alla sera una manata di castagne secche, che potevano essere 10-15 a seconda della grossezza. Ricordo che la mia squadra di russi ne aveva una certa quantità che doveva bastare per un certo periodo.”

17 1 gennaio 1945.

18 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 492, 7606.

19 Sulle circostanze della sua morte esistono versioni differenti, che riporterò nel libro sulla Brigata.

20 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 496, 7675. Come già detto, nomi russi erano comparsi in un organico della Brigata “Vanni” del settembre 1944 (AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Comando Brigata Garibaldi Melchiorre Vanni, B 496, 7673). Essi non coincidono però con quelli indicati da Saverio Sampietro e presenti nell’organico del 7-2-1945. Nell’organico del settembre 1944, ammesso che i nomi siano corretti come trascrizione, abbiamo infatti Solar Ivan, Poridnoi Fredor, Roglj Dimitro, Rabez Ivan. In una nota, ho già osservato che Ivan Rabez muore durante il rastrellamento nel Calicese dell’8 ottobre 1944. Sempre a proposito di russi, c’è un episodio per cui alcuni di loro sarebbero stati con la “Vanni” già in precedenza. Viene infatti narrato da Renato Jacopini (e ripreso in un libro di Mauro Galleni) un episodio clamoroso, risalente al luglio 1944, quando un gruppo della Brigata “Vanni”, capeggiato da Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, assaltò il magazzino di Ceparana. In quell’occasione vennero messi a guardia dei tedeschi catturati due partigiani russi (di cui uno, per come si legge nel testo, ucraino) che, fatti prigionieri dai tedeschi, erano fuggiti dopo l’8 settembre 1943 (v. “Canta il gallo”, di Renato Jacopini, pp.77-78, cit., e “Ciao, russi. Partigiani sovietici in Italia, 1943-1945” di Mauro Galleni, Marsilio Editore, 2001).

21 In realtà Ivan Rasolo è, all’epoca, già morto.

22 L’organico citato, del 7 febbraio 1945 è, in un certo senso, in ritardo, sul divenire delle cose. Il ritardo dipende dal fatto che, pur essendo tornata la formazione sulle sue postazioni nello Zignago, non era ancora chiara la situazione definitiva.

23 E di fonti diverse.

24 Giuseppe Grandis.

25 Fondo ANPI provinciale-La Spezia (consultato grazie a Oretta Jacopini).

26 Il numero 16 comprende, come si può facilmente capire, dai numeri dati in precedenza, non solo russi.

27 Qualcuno era andato in altre formazioni (v. dopo) e qualcuno, come dice Giuseppe Grandis, era andato oltre il fronte.

28 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 489, 7594.

29 L’elenco, erroneamente, comprende ancora il nome di “Ivan” (Ivan Rasolo) morto, come già detto, durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945. Ecco il motivo della differenza tra 13 e 14.

30 Si può osservare come gli organici in generale, e quindi, in particolare, quelli relativi ai combattenti stranieri, siano piuttosto mobili, sebbene una parte di essi permanga fino all’ultimo presso le varie formazioni della IV Zona Operativa. Tra quelli rimasti, sicuramente non tutti chiesero tuttavia nel Dopoguerra il riconoscimento della qualifica di “Partigiano” o “Patriota”.

31 Va aggiunto che alcuni compaiono come nome, ma senza riconoscimento, altri proprio non compaiono.

32 Da comparazione con altre fotografie dell’Archivio ISRSP, in cui è sicuramente presente Saverio Sampietro “Falchetto”, il primo, in piedi a sinistra, potrebbe essere proprio lui.

Correva il giorno… 8 settembre 1943, La Spezia e la partenza della flotta

a cura di Patrizia Gallotti

L’8 settembre 1943 alla Spezia, considerato che molte famiglie erano sfollate nei dintorni di campagna, c’erano forse più militari che civili, soprattutto marinai, con la maggior parte della flotta ancorata in rada. Nella tarda serata di quel giorno l’EIAR (l’attuale RAI) diramò un famoso comunicato “straordinario” che includeva un passaggio ambiguo: […] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza […] A nessuno fu chiaro che cosa si dovesse fare: il proclama era, volutamente, poco esplicito.

I primi a pagarne le spese furono i soldati. Ordinando alle forze armate italiane di reagire solo se attaccate, il proclama sottintendeva la speranza – dimostratasi illusoria – che gli americani avrebbero guidato loro un attacco contro i tedeschi nei punti nevralgici del Paese. Ma questo non avvenne. Quindi, uscivamo dalla guerra, sì, pronti a reagire però contro chiunque ce lo avesse impedito1.

Ai primi chiarori del giorno dopo cominciò lo sbandamento: la flotta salpò al completo «per destinazione ignota», mentre tutti sapevano che la Marina era attesa a Malta, in ossequio alla resa pattuita2. La reazione dei tedeschi fu immediata, l’occupazione delle zone militari della Spezia, affidata a poche pattuglie che marciavano cantando al centro delle strade, fulminea.

Gli spezzini, già evacuati al principio della guerra, non potevano più tornare nelle loro abitazioni urbane distrutte o pericolanti per i pesantissimi bombardamenti dell’aprile e del giugno 1943. La Spezia era una città fortemente devastata nelle sue strutture sociali e produttive, tanto che al termine della guerra risulterà terza per distruzioni subite, dopo Cassino e Rimini.

Ma bisogna riconoscere che la partenza della Squadra Navale agli ordini dell’Ammiraglio Carlo Bergamini è un fatto inciso “per sempre”, e nelle vicende della Spezia e nella storia italiana di quel periodo.

RT Orsa Scorta convogli, partenza al tramonto, 1940 (Archivio M. Martone)
RT Orsa Scorta convogli, partenza al tramonto, 1940 (Archivio M. Martone)
Ripercorriamo gli avvenimenti

Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 la flotta italiana lasciava La Spezia dov’era ormeggiata per raggiungere La Maddalena, destinazione concordata dalle clausole armistiziali. Presero il mare 23 navi tra cui la corazzata “Roma” su cui era imbarcato l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo della flotta italiana composta dalla 9ª Divisione (corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia) agli ordini dell’ammiraglio Enrico Accoretti; la 7ª Divisione (incrociatori Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta e Montecuccoli), comandata dall’ammiraglio Romeo Oliva; l’8ª Divisione (incrociatori Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Attilio Regolo) comandata dall’ammiraglio Luigi Biancheri; la 12ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite) comandata dal capitano di vascello Giuseppe Marini; la 14ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Legionario, Oriani, Artigliere, Grecale, e la torpediniera Libra), comandata dal capitano di fregata Amleto Balbo; in ultimo, le unità della Squadriglia torpediniere «Pegaso» (Pegaso, Orsa, Orione, Impetuoso e Ardimentoso).

La flotta partì dalla Spezia alle ore 03,40 del 9 settembre per una breve sosta a La Maddalena, come ordinato da Supermarina, e dove Bergamini avrebbe trovato i documenti armistiziali e gli ordini per il porto di destinazione finale che, comunque, sarebbe stato in una zona controllata dagli anglo-americani.

RT Orsa in navigazione 1940 (Archivio M. Martone)
RT Orsa in navigazione 1940 (Archivio M. Martone)

Alle ore 14.37, in prossimità delle Bocche di Bonifacio, Bergamini riceve la notizia che l’isola era stata occupata dai tedeschi e gli viene ordinato di invertire la rotta e di dirigersi su Bona (in Algeria).

L’Ammiraglio, alle 14,41, effettua l’inversione per sottrarre le navi alla cattura, assume la rotta 284°, che era quella di sicurezza, per uscire dal golfo dell’Asinara e proseguire per Bona. La manovra era stata compiuta da pochi minuti, quando la formazione navale viene attaccata da bombardieri tedeschi.

La storiografia ufficiale e, in buona parte, le “Memorie dell’Ammiraglio de Courten3, Capo di Stato Maggiore, Ministro della Difesa dal luglio 1943 al 1946, pubblicate dall’Ufficio storico della Marina4, non mettono in discussione la fedeltà di Bergamini agli ordini impartiti dal Ministero della Marina.

Lo stesso Ammiraglio Raffaele de Courten, nelle sue Memorie, afferma infatti di avere trovato nelle ore dell’armistizio “grande conforto nel colloquio telefonico avuto con l’Amm. Bergamini, il quale dalla Spezia mi assicurò che la flotta intera era pronta ad eseguire qualunque ordine venisse impartito…”

RT Orsa, particolare attrezzatura dragaggio, II Guerra Mondiale, giugno 1940 (Archivio M. Martone)
RT Orsa, particolare attrezzatura dragaggio, II Guerra Mondiale, giugno 1940 (Archivio M. Martone)

Certamente, però, ci fu, da parte di Bergamini, come si legge nel testo di Francesco Mattesini La Marina e l’8 settembre, una reazione alla notizia dell’armistizio (dicendo lo stesso Bergamini di non voler andare a fare il guardiano di navi in consegna al nemico), ma, secondo gli storici, fu la reazione del marinaio, dell’ufficiale, del Comandante in Capo delle Forze Navali da battaglia, tenuto ingiustamente all’oscuro del tragico evolversi della situazione.

Bergamini fu insomma profondamente e umanamente colpito dal fatto che la Marina non fosse stata messa al corrente di tutte le fasi e di tutte le condizioni delle trattative: “la Marina che ha conquistato con il suo sangue e con il suo valore il diritto di essere la prima fra i primi nell’albo d’oro dei benemeriti della Patria” (dal discorso di Bergamini il 1° agosto 1943 all’equipaggio della corazzata “Italia” (già “Littorio”). Come responsabile delle Forze Navali si sentì mortificato, ma non mise in discussione gli ordini superiori.

Jalta , URSS, Equipaggio MAS 567, 1942-43 (Archivio M. Martone)
Jalta , URSS, Equipaggio MAS 567, 1942-43 (Archivio M. Martone)

Nessuna unità della flotta doveva cadere nelle mani del nemico. L’autoaffondamento in alti fondali, a cui Bergamini pensava, era nella tradizione militare. Ma tale gesto, se aveva uno spiccato valore ed era doveroso in pieno stato di guerra, ad armistizio concluso e a condizioni, pur assai gravose, accettate, voleva dire ribellarsi agli ordini e distruggere, consegnandolo ai tedeschi, un patrimonio vero che ancora esisteva per il popolo italiano.

L’Ammiraglio, posto di fronte alla necessità di salvaguardare, anche nell’umiliazione della sconfitta, il bene di tutti (“le navi ti sono state affidate dalla Patria”, gli disse de Courten) non esitò a rivedere le sue idee, a smorzare la sua reazione e ad eseguire gli ordini con fedeltà e lealtà.

RT Orsa,esercitazione recupero siluri, II Guerra Mondiale,1940 (Archivio M. Martone)
RT Orsa,esercitazione recupero siluri, II Guerra Mondiale,1940 (Archivio M. Martone)

Con quale stato d’animo abbia comunque affrontato quei momenti e abbia preso quelle decisioni, si può immaginare, soltanto immaginare. Non si conoscono altri ordini e atteggiamenti documentati da parte del Comandante in quelle ore caotiche e drammatiche. Basti pensare che la tragica cronologia dell’8 e 9 settembre 1943, segna un seguirsi spasmodico di ordini e contrordini, di tensioni e di reazioni, di vita e di morte.

Ci sono comunque autori controcorrente come Giovanni Ansaldo (Dizionario degli italiani illustri e meschini, Milano, 1980, p.65) che scrive, riferito a Bergamini: “Nessuno sa quali fossero le sue intenzioni” nel momento di partire dalla Spezia. Anche nello scritto diramato il 7 gennaio 1944 dall’Agenzia “Corrispondenza repubblicana” si legge: “Se Bergamini fosse rimasto in vita, non avrebbe mai consegnato le navi al nemico…”. Uno scritto di Antonio Mascello (“Il Resto del Carlino”, edizione di Modena, 27.8.1986) afferma: “No, l’Ammiraglio non si è arreso e non ha eseguito gli ordini”.

Certamente l’Ammiraglio era molto deluso dell’armistizio, tanto da avere ripetuto ai suoi collaboratori “Non era questa la via immaginata”, ma resta comunque il fatto che partì, fu bombardato dai tedeschi e morì. Un sacrificio che contò 1393 marinai tra ufficiali, sottufficiali, sottocapi e comuni, con loro anche l’ammiraglio Carlo Bergamini e il comandante della “Roma”, capitano di vascello Adone Del Cima.

A titolo informativo, pare che la corazzata “Roma” sia stata colpita da una bomba a razzo radiocomandata, usata per la prima volta dai tedeschi, e il fatto che secondo il figlio di Bergamini, Pier Paolo, “quella bomba a razzo deriverebbe da studi e da prove fatte da nostro padre presso il balipedio di Nettuno”.

È giusto ricordare la Medaglia d’oro Carlo Bergamini, i suoi ufficiali, ma anche, e soprattutto, i marinai caduti. Penso inoltre che sia importante, nel citare Bergamini, mantenere vivo il ricordo di altre figure delle forze armate, tutte perite in quei giorni o a causa di avvenimenti successi proprio in quei giorni, per mano tedesca e/o fascista. Tra esse, solo pochi esempi5, tratti da una lista lunghissima di caduti per un’idea di patria che, progressivamente priva di ogni retorica fascista e nazionalista, si sarebbe faticosamente avviata ad assumere le caratteristiche insite ad un concetto di patria democratica.

Jalta, URSS, Bandiera MAS 567, IV Flottiglia, Com. F. M. Mimbelli, 1942-43 (Arch. M. Martone)
Jalta, URSS, Bandiera MAS 567, IV Flottiglia, Com. F. M. Mimbelli, 1942-43 (Arch. M. Martone)

E proprio la Resistenza, con il suo sacrificio di sangue, in cui si annoverano moltissimi esponenti della Marina, avrebbe reso infatti possibile tale passaggio.


1 L’armistizio, firmato a Cassabile (Sicilia) con gli anglo-americani, prevedeva che l’Italia cessasse di collaborare con i tedeschi, interrompesse le ostilità contro le truppe alleate, liberasse tutti i prigionieri di guerra e desse la disponibilità agli Alleati di utilizzare il suo territorio per le operazioni di guerra.

2 Al punto 4) delle clausole dell’armistizio si legge: Le Forze italiane di terra mare ed aria, entro il termine che verrà stabilito dalle Nazioni Unite, si ritireranno da tutti i territori fuori dell’Italia che saranno notificati al Governo italiano dalle Nazioni Unite e si trasferiranno in quelle zone che verranno indicate dalle Nazioni Unite. Questi movimenti delle Forze di terra, mare e aria verranno eseguiti secondo le istruzioni che verranno impartite dalle Nazioni Unite e in conformità degli ordini che verranno da esse emanati […]

3 Raffaele de Courten, conte (1888-1978). E’ stato ammiraglio e politico italiano. Ministro della Marina, fu l’ultimo Capo di Stato Maggiore della Regia Marina e primo della Marina Militare.

4 Solo nel 1988 la famiglia de Courten ha consegnato l’intero archivio dell’ammiraglio all’Ufficio storico della Marina con la clausola che le Memorie fossero pubblicate integralmente.

5 In occasione dell’8 (e 9 settembre), oltre a Carlo Bergamini, possiamo anche ricordare: l’Ammiraglio Federico Martinengo, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), morto combattendo, il 9 settembre 1943, sulla sua vedetta antisommergibili, all’altezza dell’isola di Gorgona; l’Ammiraglio Inigo Campioni, Medaglia d’oro al VM e il Contrammiraglio Luigi Mascherpa, Medaglia d’oro al VM (ambedue catturati e poi processati dal Tribunale speciale per avere resistito ai tedeschi nel mare Egeo, fucilati a Parma, nel maggio 1944), il Capitano Mario Mastrangelo, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), il Capitano Francesco Cacace, Medaglia d’argento al VM (alla memoria), il Generale Antonio Gandin, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), tutti fucilati per la resistenza opposta dai militari italiani ai tedeschi a Cefalonia. Nel Comune della Spezia esistono via Mario Mastrangelo, via Francesco Cacace e un piccolo viale dentro il Parco XXV Aprile (Canaletto) dedicato ai caduti di Cefalonia e delle isole del mare Egeo.

Nota Bene: le fotografie “Marina Militare italiana durante la II Guerra Mondiale”, che accompagnano l’articolo, vengono pubblicate per la prima volta e appartengono all’Archivio privato di Mauro Martone, che ringrazio sentitamente a nome di tutto l’ISR.

Omaggio a Ferruccio Battolini nel centenario della nascita

di Patrizia Gallotti

Ricorre oggi il centenario della nascita di Ferruccio Battolini, nacque appunto il 1 settembre 1923 alla Spezia dove morì nel febbraio 2007.

Siamo abituati a pensare a Battolini come critico d’arte o studioso d’arte contemporanea, senza fissarlo nella veste di “bibliotecario” al servizio della comunità. La sua attività nel mondo delle biblioteche risale agli anni Cinquanta, quando laureato, dopo i tragici eventi della Guerra e della Resistenza, a cui partecipò con il nome di “Poeta” -e la scelta di questo nome di battaglia lascia già presagire il suo profondo interesse per le arti e la cultura-, nonostante le spiccate capacità professionali, occupa un posto, a contratto, chiamato come collaboratore da Ubaldo Formentini.

La palazzina Crozza di Corso Cavour nel 1940 Archivio della Fotografia, La Spezia
La palazzina Crozza di Corso Cavour nel 1940 – Archivio della Fotografia, La Spezia

Il suo impegno verso la Biblioteca Mazzini, prestigiosa istituzione culturale della nostra città –e non solo- ma di tutto il comprensorio spezzino, è costante e coerente nell’affermare con forza quale deve essere il ruolo di una biblioteca pubblica, cenacolo di intellettuali ma, e soprattutto, luogo di incontro e di conoscenza per persone comuni.

Molti meriti gli vanno attribuiti soprattutto nella ristrutturazione del servizio bibliotecario. Il suo pensiero e la sua azione erano spesso rivolti alle più giovani generazioni verso le quali ha sempre avuto un occhio attento, rigoroso e aggiornato: l’arricchimento della dotazione libraria, l’ampliamento della disponibilità dei locali, l’aumento di personale specializzato (e qui si è sempre reso conto che senza operatori qualificati le biblioteche sono costrette a una vita precaria e marginale), la preparazione di un catalogo aggiornato e di un’efficace impostazione bibliografica.

La Biblioteca Civica U. Mazzini oggi, dopo il restauro
La Biblioteca Civica U. Mazzini oggi, dopo il restauro

Con impressionante lungimiranza, sosteneva che la Biblioteca intesa come accumulatore di raccolte documentarie, punto fisico obbligato di accesso al documento, concentrata sulla custodia più che sulla comunicazione del suo patrimonio culturale, era destinata ad essere superata.

È proprio da questo modello tradizionale, proprio dall’intento di valorizzare e di utilizzare quella parte del patrimonio presente all’interno del territorio comunale, che Battolini sollecita l’Amministrazione Comunale a istituire un Sistema Bibliotecario urbano, articolato su biblioteche comunali, scolastiche e di altri enti.

La Biblioteca Civica P. M. Beghi, nella sua prima sede
La Biblioteca Civica P. M. Beghi, nella sua prima sede

Siamo nel 1986, l’anno in cui viene inaugurato un nuovo polo bibliotecario, appunto la Civica Beghi, dove trova spazio l’Istituto storico della Resistenza, sorto nel 1972 grazie ai preziosi consigli e alla collaborazione di Ferruccio Battolini, anch’egli tra i fondatori e primo Direttore dell’Istituto spezzino (lo resterà fino agli anni Novanta).

La sede dell’Istituto oggi, all’interno della nuova Biblioteca Civica P.M. Beghi

Affermato critico d’arte e giornalista, il professor Ferruccio Battolini nell’anno 2000 ha donato al Comune della Spezia circa 500 opere d’arte che hanno arricchito in maniera decisiva l’offerta culturale cittadina.

Tra memoria e Progetto. Bibliografia degli scritti di Ferruccio Battolini 1949-2000
Tra memoria e Progetto. Bibliografia degli scritti di Ferruccio Battolini 1949-2000


Vorrei però evidenziare che la sua visione di “bibliotecario” è sempre rimasta viva; si pensi alla bibliografia dei suoi scritti, bibliografia nutritissima, lungo un arco di tempo comprendente più di mezzo secolo; una raccolta di volumi e saggi monografici, introduzioni, prefazioni, saggi, letteratura e storia.

È racchiuso in essa tutto il suo lavoro culturale, lavoro che ha seguito un rigoroso discorso logico: comunicare senza riserve, senza preconcetti, con il più alto spirito di tolleranza, prospettando ogni aspetto dibattuto o controverso. Un autore di primo piano, un protagonista culturale sono le migliori definizioni per ricordarlo!

Correva il giorno… 25 luglio 1943

A cura di Maria Cristina Mirabello
Lina FrantoniRinoCerretti
Lina Frantoni e Rino Cerretti
Le fotografie, scattate e rielaborate da Mauro Martone, sono poste sulla pietra di marmo che chiude i loculi dei due caduti (Cimitero dei Boschetti-La Spezia)

La lente d’ingrandimento, per guardare al 25 luglio 1943, cioè alla caduta del regime fascista (e di Benito Mussolini), può essere variamente puntata: in questo breve intervento, non mi volgerò a fatti nazionali1 o regionali, o all’interpretazione storiografica di essi, ma focalizzerò alcuni episodi locali, più o meno rilevanti, e tuttavia significativi del clima dell’epoca, basandomi fondamentalmente su documenti riguardanti l’ordine pubblico. Accennerò così ad alcuni avvenimenti, compresa la ricostruzione della famosa manifestazione del 29 luglio 19432, che vide un imponente corteo spostarsi dalla zona sud della città della Spezia verso quella nord, con particolare attenzione al drammatico epilogo di esso, occupandomi infine di tre volantini, presaghi del futuro politico che si sarebbe determinato grazie alla costituzione dei CLN.

Tutti gli episodi, cui farò riferimento, sono documentati presso l’Archivio di Stato-La Spezia 3.

L’ordine dei fatti segue, in questo articolo, l’ordine dei documenti, cioè le date progressive che l’intestazione di questi ultimi riporta. N.B.: dentro ogni documento, però, possono essere elencati fatti avvenuti in giorni diversi4 o, se i documenti provengono da fonti diverse, ripetuti episodi.

28-7-1943

La Legione Carabinieri-Compagnia esterna La Spezia segnala che ad Arcola, in data 28 luglio 1943, giovani hanno forzato l’ingresso del fascio di combattimento distruggendo oggetti, schedari, ecc.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-Sarzana segnala che il 28-7-1943, a Ponzano Magra, un gruppo di operai dell’Officina del Regio Arsenale, decentrata dalla Spezia a Ponzano, ha staccato lo stemma del fascio littorio dalla sede del fascio e quello collocato sulla locomotiva della Società Ceramica Ligure.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che in data 27 luglio, alle 21,30, 2 mila persone5 circa si sono portate, a Pitelli, sotto la sede del fascio, distruggendo tutto, compresi gli schedari, e che analoga manifestazione, composta da circa 100 elementi, è avvenuta davanti alla Casa del fascio a Muggiano.

28-7- 1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia denuncia quanto avvenuto a San Venerio, dove alcune decine di manifestanti si sono impadroniti di documenti vari nella sede locale del fascio, incendiandoli. In tale ambito sono intervenuti un agente di PS, un tenente della Regia Marina e alcuni marinai che hanno provveduto all’arresto di Domenico Colombo6.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che, alle 15, 30 di “oggi” (quindi 28-7-43), un “gruppo di facinorosi” è entrato nella sede del gruppo rionale “Bisagno” al Canaletto e nel Comando GIL La Spezia-Migliarina, buttando tutto all’aria e incendiando quanto trovato. Inoltre alle 17, a Fossamastra, presso lo stabilimento OTO-Termomeccanica, sono stati tratti in arresto: Frate Felice (abitante a Migliarina), Giuntini Mario (abitante a Fossamastra), Comiti Valentino (abitante a Fossamastra) e Cibei Luigi (abitante a Sarzana): sono accusati di avere ordinato a operai fascisti di abbandonare il lavoro e di avere sobillato le maestranze per indurle all’indisciplina.

Sempre in data 28-7, alle ore 13, “alcuni sediziosi” sono entrati nel gruppo rionale fascista “P. Montefiori” di Migliarina, raccogliendo carte, buttandole e incendiandole nel cortile.

Mattinale del giorno 28-7-1943, Regia Questura, La Spezia

Il Mattinale giudica la “giornata di ieri” (quindi 27 luglio 1943) “nel complesso normale”7, ma segnala svariati episodi.

Alcuni ufficiali degli Alpini, appartenenti a truppe di passaggio, hanno invitato alcuni fascisti a togliersi il distintivo8 dall’occhiello; verso le 12 c’è stata un’incursione nel circolo “Bisagno”, al Canaletto; è scoppiato un tafferuglio tra gli operai militarizzati alloggiati in piazza Verdi (a causa della presenza di appartenenti alla Milizia); a Sarzana un centinaio di persone, in gran parte studenti, ha fatto una dimostrazione al grido di W l’esercito, W Badoglio, Abbasso il fascismo9; ci sono stati anche lievi incidenti nelle frazioni; si sono inoltre verificati tafferugli, attribuiti dall’estensore del documento al fatto che alcuni avventori volevano giocare alla “morra”, nell’esercizio pubblico gestito in via Sarzana (La Spezia) da Portunato Ercole, con scoppio di bombe e colpi d’arma da fuoco10.

29-7-1943

La Tenenza Carabinieri- La Spezia segnala un assalto (avvenuto, secondo il documento, “ieri sera”), al gruppo rionale fascista “Alfredo Sensi”, al Limone, un assalto alla Chiappa contro la sede rionale del fascio “E. Ferro”, in occasione del quale erano stati ritrovati due volantini firmati “Partito Comunista- Sezione della Chiappa”, l’incendio del circolo “Majani” a Mazzetta, l’assalto alla sede delle Grazie (Portovenere), in occasione del quale sono stati arrestati dal “pattuglione” della Marina: Carassale Gino, Nardini Domenico, Sturlese Aldo, Bello Nicola, Speranza Giorgio, Fascetti Ajello, Valdettaro Giuseppe.

Viene inoltre segnalato che “stamane” (quindi 29 luglio) non si sono presentati al lavoro circa 100 operai delle Officine Motosi11 site in viale Costanzo Ciano, traversa di via della Pianta, che avrebbero partecipato alla manifestazione12 tenutasi alla Spezia, e così, verso le ore 10, 150 operai dell’OTO Termomeccanica hanno sospeso il lavoro, senza però abbandonare il loro posto, chiedendo la libertà per gli arrestati di Fossamastra. Tuttavia, nonostante i fatti “su esposti”, l’ordine pubblico “è rimasto normale”.

29-7-1943

La Tenenza di Sarzana segnala che a San Terenzo (Lerici) tre fascisti, con il benestare del Segretario, hanno trasportato dalla loro sede registri (che poi hanno incendiato), altri sono entrati nella sede di Pugliola.

Mattinale del giorno 29 luglio 1943- Regia Questura, La Spezia

Nel Mattinale c’è l’annotazione dei fatti di San Venerio, Pitelli, Migliarina, Canaletto, Arcola, Fossamastra, già riportati13, ma anche che 3 mila operai dell’OTO14 chiedono l’allontanamento dal lavoro degli operai squadristi e che “l’ingegner Rossi” ha istigato a ciò gli operai, compresa la descrizione, sommaria, della manifestazione, avvenuta alla Spezia lo stesso giorno.

Per la manifestazione tenutasi alla Spezia15, conviene esaminare un ulteriore documento.

29-7-1943, Carabinieri- Gruppo La Spezia

Secondo questo documento, firmato da Vincenzo Ragusa, Maggiore, Comandante del Gruppo, il corteo16 presenta momenti di arresto e di ramificazione, percorrendo corso Cavour, ma deviando anche verso via Colombo, dove viene preso d’assalto il circolo “Landini”, in viale Savoia17, dove è assaltata la caserma GIL18, ed ancora, nella zona nord, dove è assaltato il circolo fascista “Podestà”. In questa prima fase, con particolare riferimento al segmento che riguarda la Federazione dei fasci, in piazza del Municipio19, rimane ferito, con altri, Mario Ceretti20, operaio presso la ditta Puli in Arsenale21. Svariati sono gli arresti.

Il corteo, più volte disciolto (e ricomposto), si ritrova infine in viale Regina Margherita22, davanti alla caserma del XXI Reggimento, inneggiando a Badoglio e all’esercito.

E proprio qui si dipanano ulteriori fatti, drammatici, nell’ambito dei quali ci sono numerosi feriti e trova la morte una giovanissima donna.

“Una ventina di camicie nere della locale 35a legione MVSN23, al comando di un ufficiale, attraversava il ponticello che sovrasta il fossato circostante l’edificio della Direzione d’artiglieria e si schierava, trasversalmente, sulla strada di fronte, circa 200 m. dal gruppo dei dimostranti. I militi si inginocchiavano e spianavano i moschetti.”

A questo punto, nonostante l’intervento di un vice Brigadiere dell’Arma e di un altro carabiniere, che si portavano verso le camicie nere “gridando di non sparare”, i militi “Aprivano senz’altro il fuoco ed i due sottufficiali dell’Arma fecero appena in tempo a gettarsi sul lato della strada per non essere colpiti, mentre il crepitio dei moschetti continuava.” Succede così che “Qualcuno dei dimostranti si dava alla fuga, altri si rifugiavano all’interno della caserma del XXI Reggimento e alcuni cadevano a terra colpiti.” Inoltre, alcuni ufficiali del XXI Reggimento cercavano di far segno ai militi di desistere “Ma soltanto quando sulla strada non fu più alcun dimostrante, il fuoco cessava. Intanto una ragazza Frattoni24 Nicolina (1928), operaia Motosi (Canaletto) moriva”.

Numerosi risultavano i feriti: secondo il rapporto otto25.

Il Maggiore Ragusa puntualizza infine che “I dimostranti erano tutti disarmati e molti di essi furono perquisiti durante l’invasione del gruppo rionale fascista “Podestà”; alcuni di essi, avendo rinvenuto in una sala un moschetto, lo consegnavano al Comandante la stazione di La Spezia-settentrione.

Non risulta che dai dimostranti sia partita qualche frase offensiva contro la Milizia e si esclude che dai dimostranti siano partiti colpi d’arma da fuoco.”26

Nei giorni successivi (30 luglio 1943) sono segnalati dai Carabinieri episodi che denotano l’insofferenza popolare: a Padivarma (Beverino), dove compaiono scritte con “Abbasso Hitler, W la Russia, Abbasso gli assassini di Matteotti”, per cui sono fermate due persone, nonché a Marola27, dove è assaltato il gruppo rionale fascista, asportate e bruciate le carte rinvenute in esso.

Ma la cosa più interessante, e che dimostra il sicuro avvio di un’importante fase propositiva antifascista, è il rinvenimento di alcuni volantini.

In data 1 agosto 1943, la Compagnia Carabinieri interna-La Spezia dice che, alle ore 8, un sottufficiale “rinveniva a La Spezia, via Prione”, un foglietto piegato in quattro28, intestato “Unione nazionale per la pace e la libertà” e firmato “Il Comitato regionale Partito d’Azione, PCI, DC, PLI, Partito Socialista, Movimento Unità proletaria”. Il foglietto, per il quale disponiamo dell’originale in ASSP, si rivolge ai cittadini, dicendo loro di andare in piazza “Oggi alle ore 17”, per chiedere l’armistizio immediato, la pace con onore, via i tedeschi, lo scioglimento immediato della MVSN e del PNF29, la punizione dei responsabili dei crimini durati 20 anni, la liberazione immediata degli antifascisti dal carcere e la restituzione immediata delle libertà costituzionali.

A proposito di volantini30, va aggiunto che esistono, sempre in ASSP, gli originali di altri due volantini, uno datato 27 luglio 194331, firmato Il “Comitato Popolare Italiano”, in cui si parla di “mostruosa dittatura” responsabile del “sangue, rovine e fame” che opprimono il popolo italiano, e che si chiude con “W l’Italia! W la pace! W la Costituente”; c’è infine un ulteriore volantino32, non datato, ma risalente alla medesima fase. In quest’ultimo, partendo dall’invocazione “Italiani!”, si compie un’analisi del presente, affermando che “Spunta sul nostro Paese in rovina l’aurora della libertà e della pace.” Dopo avere dichiarato che “I partiti antifascisti che da vent’anni hanno condannato e decisamente combattuto la funesta dittatura fascista” pongono alcuni obiettivi, si individuano ulteriori punti: la liquidazione totale del fascismo e dei suoi strumenti di oppressione33, il ristabilimento di una giustizia esemplare, l’abolizione delle leggi razziali e la costituzione di un governo formato dai rappresentanti di tutti i partiti che esprimono la volontà nazionale. Il documento esprime poi “L’irremovibile volontà” che la nuova situazione creatasi non venga sfruttata per salvare gli interessi di chi ha sostenuto il fascismo o da esso è stato sostenuto. Il volantino è firmato da34 “Il Gruppo di Ricostruzione Liberale – Il Partito Democratico Cristiano – Il Partito d’Azione – Il Partito Socialista – Il Movimento di Unità Proletaria per la repubblica socialista – Il Partito Comunista”.

Insomma, era precocemente e faticosamente avviata, se pensiamo a quanto succede alla Spezia dopo l’8 settembre 1943, una unità antifascista: essa sarebbe stata alla base dei CLN35 e avrebbe reso possibile, nonostante la non sempre facile intesa tra componenti politicamente assai diverse, la crescita e la vittoria del fenomeno resistenziale. Una specie di miracolo, tenuto conto del fatto che l’Italia usciva da venti anni di dittatura e che ognuno, a quel punto, fu posto di fronte ad una scelta, da compiere in libertà. E ogni scelta è un rischio, specie quando non si è abituati a scegliere. Ebbene, tale unità fu, in un certo senso, la rete di fondo che, in qualche modo, dopo il momento prioritario della scelta, rese possibile la concretizzazione fattiva di essa.


NOTE

1 Ricordiamo, brevemente, che, nella notte tra 24 e 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo, riunito nel pomeriggio del 24 luglio (convocazione alle 17), vota, alle 2,30 del 25 luglio, l’odg proposto da Dino Grandi, in quel momento Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni (19 a favore, 7 contrari e 1 astenuto).Tale odg, chiede il ripristino di tutte le funzioni statali, seguendo le leggi statutarie e costituzionali e demandando al Re l’effettivo comando delle Forze Armate (quindi la conduzione della guerra). In questa maniera viene di fatto sfiduciato Benito Mussolini, anche perché, nell’architettura statale italiana, il Gran Consiglio non è semplicemente un organo di partito, ma, per volontà dello stesso Mussolini, è organo di massima rilevanza costituzionale. Mussolini, presentatosi nel pomeriggio del 25 luglio 1943 a Villa Savoia (residenza di Vittorio Emanuele III), viene costretto a dare le dimissioni, e, all’uscita dal colloquio con il sovrano, è tratto in arresto dai carabinieri e portato via con un’ambulanza. La notizia della caduta del regime comincia a diffondersi in serata e la radio ne dà notizia dopo le 23. Si apre così la fase conosciuta come i “Quarantacinque giorni”, che si conclude con l’8 settembre 1943. Per sentire l’annuncio radio, v. sito https://www.bolognatoday.it/cronaca/25-luglio-1943-caduta-fascismo-mussolini.html.

2 Una imponente e riuscita manifestazione era avvenuta innanzitutto a Sarzana, il 26 luglio, a partire dalle 18. Ispiratore di essa era stato fondamentalmente il PCI: Anelito Barontini si era spostato alla Spezia per diffondere la notizia e, comunque, convogliare sulla manifestazione, gli operai, al ritorno dalle fabbriche spezzine, mentre Paolino Ranieri era rimasto a Sarzana per provvedere all’organizzazione “in loco”. E, comunque sia, la sera del 25 luglio Soresio Montaresi, operaio dell’Ansaldo, era già riuscito a stampare i primi volantini che, il giorno dopo, sarebbero stati diffusi nelle fabbriche spezzine.

3 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7.

4 Le date, le quantità di manifestanti, gli orari, i danneggiamenti vengono riportati come tali.

5 La valutazione sembra essere eccessiva.

6 Domenico Colombo, padre di Franco Colombo, partigiano durante la Resistenza del Battaglione “M. Vanni” e di Sauro Colombo, partigiano sempre del Battaglione “M. Vanni”, quest’ultimo catturato, deportato e morto in campo di sterminio, militerà, durante la Resistenza, nelle SAP spezzine, morendo a Montalbano il 24 aprile 1945 (v. la sua scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bed34d235218049f147b).

7 Come si può notare, il tentativo è quello di ricondurre al termine “normale” uno stillicidio di fatti in realtà anormali.

8 Il distintivo del PNF portato abitualmente all’occhiello della giacca, specie dai funzionari pubblici, diede luogo, in quelle circostanze, ad atteggiamenti completamente diversi. Ci fu, infatti, tra le varie tipologie, chi l’aveva indossato pienamente convinto e che, quindi, avrebbe voluto tenerlo, chi scelse di buttarlo per paura, chi non l’aveva proprio mai indossato ed era stato perseguitato, ma anche chi lo tolse con sollievo. Quest’ultimo atteggiamento, che si potrebbe definire “nicodemitico”, è ben reso da Vega Gori “Ivana”, nel luglio 1943 impiegata presso l’Ufficio statale dell’ammasso del vino in viale Italia, a Migliarina. Dice “Ivana”: “Arrivò l’estate e una calda mattina di luglio, mentre ero in treno per recarmi al lavoro con la vice-capoufficio, Wilma, che mi aveva portato con sé a trovare la sua famiglia sfollata a Licciana Nardi, cominciò sommessamente a circolare la notizia incredibile della caduta del fascismo… In quella giornata non assistetti personalmente a manifestazioni di piazza ma, nel percorso che feci, dalla stazione di Migliarina all’ufficio, lessi sui volti di chi incontravo soprattutto stupore e ansia (temperata per taluni da un senso di liberazione) rispetto a quanto era successo e avrebbe potuto succedere. Arrivata al lavoro, accadde poi un episodio che mi è sempre rimasto chiaro nella mente. Si presentò un impiegato senza il distintivo fascista all’occhiello e il direttore lo apostrofò dicendo: ‘E’ bastato solo un giorno per buttare via il distintivo fascista?’, e quello, che si chiamava Marchesini, rispose: ’Sì, un giorno, che ho aspettato vent’anni!’” (Gori, Vega ‘ Ivana’, Mirabello Maria Cristina, “’Ivana racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013, p. 32).

9 Tali parole d’ordine erano state precedentemente concordate dal gruppo comunista di Sarzana. Non si capisce se tale manifestazione sia diversa da quella del 26 luglio (in cui, peraltro, era massiccia la presenza operaia).

10 Sembra eccessivo che voler giocare alla “morra” implichi reazioni di questo tipo.

11 Le Officine Motosi erano, per come risulta da testimonianze e documenti, un centro cui afferivano, anche per motivi di lavoro, noti esponenti comunisti: ad esempio, cognato del titolare era Giovanni Albertini che, successivamente, avrebbe assunto il nome di “Luciano”, partecipando alla Resistenza ed assumendo in essa svariati incarichi, tra cui quello di Commissario politico della Brigata “ M. Vanni”, per un breve periodo anche Comandante di essa, ed infine Comandante della Brigata “Gramsci”(costituita dai Battaglioni “Maccione”, Matteotti-Picelli” e “Vanni”). Anche Duilio Lanaro “Sceriffo”, Comandante per alcuni mesi, dopo il 3 agosto 1944, della Brigata “Vanni”, vi aveva lavorato.

12 Per la manifestazione del 29 luglio, v. dopo.

13 V., in questo articolo, più sopra.

14 All’OTO lavorava come tecnico l’antifascista Michele Castagnaro il quale venne portato in trionfo. Per Michele Castagnaro, che, tra i più attivi organizzatori dello sciopero nelle fabbriche spezzine del marzo 1944, viene deportato a seguito di essi, morendo a Mauthausen-Gusen, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/SStefano-Castagnaro-Michele-via.pdf (a cura di Maria Cristina Mirabello).

15 Descrizione di tale manifestazione è leggibile in: Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp.237-239 (nelle pagine 235-236 del libro di Bianchi c’è anche quella di Sarzana, avvenuta il 27 luglio 1943); Pagano, Giorgio, L’arresto di Mussolini e i cortei alla Spezia e a Sarzana, (https://www.cittadellaspezia.com/2013/07/29/25-luglio-1943-larresto-di-mussolini-e-i-cortei-alla-spezia-e-sarzana-139083/); Pagano, Giorgio, 25 luglio, riscopriamo la speranza (https://www.cittadellaspezia.com/2018/07/29/25-luglio-riscopriamo-la-speranza-265314/).
La manifestazione (e il tragico epilogo di essa) suscitò molta commozione, dando il segnale che niente poteva ritornare come prima. Pina Cogliolo “Fiamma”, in un breve scritto di sei pagine, autografato dalla stessa “Fiamma” e dedicato “Alla compagna Ricciardi”, cioè alla madre di Nino Ricciardi, Medaglia d’oro al VM e partigiano del Battaglione “M. Vanni” (AISRSP, non catalogato), dice: “Le prime ribellioni al fascismo le avvertii il 29 luglio 1943 quado Lina Fratoni, una mia coetanea, fu uccisa alla Spezia, dalla milizia fascista durante una manifestazione.”

16 Per il corteo, nei documenti, si parla di circa 2 mila persone.

17 Attualmente, viale Giovanni Amendola.

18 Attualmente, sede della Polizia Municipale-La Spezia, in viale Giovanni Amendola.

19 Attualmente, piazza Beverini.

20 In realtà, Rino Cerretti, come sta scritto sul marmo del suo loculo (Cimitero dei Boschetti-La Spezia).

21 L’operaio morirà il giorno dopo. Secondo varie fonti, a causa di colpi partiti da un moschetto, comparso tra i marinai.

22 Attualmente, viale Aldo Ferrari.

23 Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

24 In realtà Nicolina Fratoni, detta comunemente Lina.

25 Nel rapporto sono reperibili anche i nomi.

26 L’episodio della manifestazione, in cui cade Lina Fratoni, e, ferito gravemente, muore poi Rino Cerretti, viene giustamente collocato nei prodromi della Resistenza. D’altra parte, se la Resistenza è guerra patriottica, civile, di classe, l’episodio narrato, in cui, nonostante il monito dei carabinieri, la Milizia spara contro i dimostranti, è esemplificativo della connotazione di “guerra civile”, con una parte, però, ancora disarmata. Di lì a poco, la “guerra civile” avrebbe visto due parti contrapposte, e in armi.

27 A seguito dell’episodio di Marola, i Carabinieri-Gruppo La Spezia, in data 3-8-1943, comunicano che sono stati effettuati svariati arresti.

28 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 26.

29 Poiché lo scioglimento del PNF avviene già il 27 luglio 1943, è evidente che il volantino è precedente, e quindi collocabile a ridosso del 25 luglio.

30 La Tenenza Carabinieri-La Spezia, in data 1 agosto 1943, comunica che al cantiere OTO del Muggiano sono stati rinvenuti due manifestini stampati e che è stato trovato, a Pitelli, un manifestino incollato sul muro di una scalinata, con firma “Il Comitato Popolare Italiano”. Quindi, o il Comitato Popolare Italiano aveva firmato più manifestini, o quello di Pitelli coincide con il manifestino di cui parliamo.

31 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 30.

32 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 29.

33 Non si chiede più, quindi, lo scioglimento del PNF (già avvenuto in data 27 luglio 1943), ma, come si può vedere, la liquidazione, non solo formale, bensì sostanziale, del PNF, compresi tutti i suoi strumenti di dominio.

34 I nomi sono scritti a lettere tutte maiuscole.

35 Per il CLN spezzino, e le premesse di esso nel Comitato delle correnti antifasciste (28-7-1943) v. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/c-l-n-la-spezia/ (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Per una panoramica, sintetica, su CLN centrale, CLNAI, CVL, v. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/cln-clnai-cvl/ (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

L’episodio di Valmozzola: una data importante, ma non sempre univoca negli scritti degli storici.

L’assalto al treno, fondamentale episodio della Resistenza tra Parma e La Spezia, accadde sicuramente il 12 marzo 1944.

A cura di Maria Cristina Mirabello

Ricostruiamo i fatti, strettamente legati alla discussione sulle date, seguendo il libro di Giulivo Ricci “Storia della Brigata garibaldina ‘Ugo Muccini’”, ISR-La Spezia, 1978, p. 105 e segg. (passim), ma proponendo anche alcune variazioni, segnalate con NdA.

La Banda “Betti”, la sua funzione centripeta per gli spezzini, l’episodio di Roccamurata, l’assalto al treno di Valmozzola e la morte di “Betti”

“Un gruppo era venuto polarizzandosi tra la Val Noveglia (Bardi), Varsi e Mariano (Valmozzola), nel dicembre 1943, non direttamente legato ad alcun partito politico né al CLN, quello di Mario Betti [NdA: per il nome Betti, v. dopo], che lo guiderà nel gennaio e ancora alla fine di febbraio, quando cominceranno ad arrivare a Valmozzola i primi elementi, avviati dal CLN e dal PCI, spezzini, sarzanesi e arcolani. Il Betti aveva trovato, peraltro, un embrionale movimento locale già sulla via dell’organizzazione… i legami con i partiti e con CLN erano saltuari ed episodici…”.

Seguendo sempre Ricci, ma facendone una sintesi, con le variazioni segnalate da NdA, ecco il seguito:

“Betti” [NdA: in realtà, seguendo Maurizio Fiorillo “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p.69, si trattava del caporalmaggiore Mario Devoti, anche se in alcuni autori troviamo la denominazione Mario Betti], viene descritto da Ricci come personaggio abbastanza enigmatico, e su cui non si è mai fatta luce completa. Tale figura, nel mentre si afferma, dà luogo anche a contrasti che lo rendono oggetto di un misterioso attentato. Comunque sia, il “Betti” diventa capobanda ed entra in contatto con il CLN spezzino mediante Riccardo Galazzo, impiegato dell’Arsenale Marittimo Militare, cacciatore e frequentatore di quei luoghi, tramite a sua volta con elementi arcolani, e cioè suo fratello Aldo Galazzo, già condannato al confino e Flavio Maggiani, esponente di punta dell’antifascismo non solo arcolano. Essi sono a loro volta intermediari con Anelito Barontini, che era stato sollecitato da Raffaele Pieragostini del CLN genovese a prendere contatto con il “Betti” su cui il CLN parmense aveva dimostrato di avere poca presa.

Fu così che il gruppi di “Betti” diventò un punto di catalizzazione per gli spezzini che man mano si aggregarono ad esso, partendo a piccoli scaglioni. Mario Portonato “Claudio” e Primo Battistini “Tullio”, partiti lo stesso giorno (2 marzo 1944), sullo stesso treno, l’uno da Migliarina e l’altro da Santo Stefano, e senza sapere l’uno dell’altro, arrivarono così a Mariano, quartiere generale di “Betti” che propose loro di assumere rispettivamente l’incarico di vice Comandante e Comandante del gruppo Arditi. In tale ambito “Betti” incarica così Battistini di una serie di azioni, che riescono pienamente. Arriva nel gruppo anche il sarzanese Paolino Ranieri “Andrea”, che assume la funzione di Commissario politico fino a quel momento non prevista nella banda, e cui “Betti” non si oppone. Il 10 marzo arrivano anche altri: arcolani, ad esempio Ezio Bassano (“Romualdo”) e santostefanesi (ad esempio Arrigo Franceschini (“Tito”), Mario Tavilla (“Crasna”) e Adriano Casale (“Maranghin”). Arrivano anche armi e munizioni da Migliarina, grazie a Renato Grifoglio, e da Sarzana, grazie a Gino Guastini. L’11 marzo 1944 [v. NdA più sotto] avviene uno scontro con il presidio di Roccamurata, intorno alla cui organizzazione e predisposizione, così come intorno a quello di Valmozzola il giorno seguente, esistono varie versioni.

[NdA:la questione dell’11, 12 (e 13 marzo), in quanto date, è abbastanza confusa, nel senso che, per Valmozzola, è stata tramandata da molti la data del 13, accolta dallo stesso Ricci che, però, in una Nota a fine Capitolo, rileva come, nella testa dei protagonisti, l’assalto fosse avvenuto di domenica, quindi il 12 marzo. Tuttavia, Ricci non nega il 13, ma pone, piuttosto, il quesito del perché la maggior parte di chi parla dell’episodio (commemorazioni, scritti) indichi sempre, appunto, il 13 marzo. È evidente inoltre che, se Roccamurata, accade un giorno prima di Valmozzola, essa vada collocata in data 11 marzo (e non il 12). Da mia indagine condotta sulle fonti dell’epoca, e precisamente sui giornali, la data di Valmozzola è senza dubbio il 12 marzo 1944 (domenica). La “Gazzetta di Parma” del 14 marzo 1944 parla dell’episodio in questo modo: “Domenica mattina (quindi domenica 12 marzo) verso le ore 8,30, un gruppo di banditi armati, composto di una cinquantina di individui, dopo avere circondato il treno proveniente da La Spezia e diretto a Parma che si era fermato nella stazione di Valmozzola, apriva un violento fuoco di fucileria e di bombe a mano verso il convoglio… È morto altresì, ucciso uno dei banditi, non ancora identificato ma che si ha ragione di credere fosse il capo o uno dei capi della banda, addosso al quale è stata rinvenuta una forte somma in valuta italiana”.]

Seguiamo ora di nuovo Ricci, che riporta alcune versioni dei fatti: secondo una versione lo scontro di Roccamurata sarebbe avvenuto casualmente e senza connessione con l’episodio di Valmozzola. Secondo altre fonti, tra cui Primo Battistini, invece, proprio lui, che era in servizio di pattuglia non lontano dal Taro, sarebbe stato avvertito che il presidio fascista di Roccamurata teneva in custodia tre giovani destinati alla fucilazione, per cui con i suoi uomini assalì il presidio ma non trovò i ragazzi, trasportati nel frattempo a Borgotaro. Sarebbe nata da qui in Battistini l’idea (cui persuase “Betti”) di assalire a Valmozzola, l’indomani, il treno che, proveniente dalla Spezia, avrebbe raccolto i giovani. Gli uomini non sarebbero stati informati dello scopo della missione per evitare sia una fuga di notizie sia che elementi più politicizzati, quali Paolino Ranieri e Portonato, la sconsigliassero giudicandola rischiosa. Ranieri ricorda che Betti parlava di un assalto all’ammasso del Comune per requisire viveri e che “Betti” non volle farlo partecipare all’impresa che comunque, sempre secondo Ranieri, prevedeva la requisizione dei viveri ed il sequestro del capostazione, e null’altro. Secondo altri, avvenuta la requisizione, Betti decise invece improvvisamente di sequestrare il capostazione, considerato membro del quadrumvirato fascista della zona, e, qualora avessero trovato un treno fermo, di assalirlo. Il nodo è capire se l’assalto al treno che costituì per la Resistenza delle province di Parma e della Spezia un punto di svolta, data la notorietà dell’impresa e l’effetto galvanizzatore che ebbe, era stato programmato in funzione della liberazione dei giovani. Sta di fatto che, quali che siano le versioni, l’assalto ci fu alle 8,30 del mattino ed avvenne contro un treno pieno di militari che, dopo una prima fitta sparatoria, si arresero, sia tedeschi che fascisti. Nel corso della battaglia “Betti” rimase ucciso, anche se sul momento nessuno se ne accorse, rendendosene conto solo al ritorno, a Mariano.

[NdA: osserviamo infine che, sul fatto d’arme di Valmozzola, come dice Maurizio Fiorillo, il quale riporta la data del 12 marzo, notando che molte fonti parlano del 13, (p. 69 del libro “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile”, cit.), esistono almeno “quattro versioni, tramandate dalla memorialistica, in parte inconciliabili”].