Classe operaia spezzina e suo protagonismo nella Resistenza… leggiamo Mario Farina
Abbiamo preannunciato, all’inizio di quest’anno, come fosse nostra intenzione, ricordare alcune figure di storici o cultori di storia, che, morti da tempo, si sono particolarmente distinti per la conservazione della memoria e per le indagini riguardo alla Resistenza nella IV Zona Operativa.
Nel decidere ciò, abbiamo anche pensato di pubblicare non un semplice profilo biografico che li riguardasse, ma, rendendo noti ai lettori testi di cui sono stati autori, far sì che il ricordo si intrecciasse proficuamente alla documentazione della loro opera.
In occasione dell’80° degli scioperi del 1°-2 marzo 1944, quando la classe operaia spezzina dimostrò la sua capacità di perseguire obiettivi non solo economici, ma tali da impensierire seriamente tedeschi e fascisti, così da scatenare la violenta repressione di essi, offriamo al nostro pubblico la possibilità di rileggere e, probabilmente, per i più giovani, di scorrere, per la prima volta, le belle pagine scritte sulla questione da Mario Farina1, autore della “Prefazione” che proponiamo.
Note:
1 Mario Farina, nato a Trieste nel 1931 e morto alla Spezia nel 2011, proviene da una famiglia di salde convinzioni antifasciste, basti ricordare che lo zio Mario Farina si attivò, tra altri, per acquistare la “pedalina” della Rocchetta di Lerici, luogo in cui aveva sede una tipografia clandestina, prestando poi la sua opera medica ai monti, tra i partigiani, come fece l’altro zio Sergio Farina, fratello di Mario, anche se non ancora laureato. Dopo aver respirato aria antifascista, Mario Farina, laureatosi nell’anno accademico 1957-1958 con una tesi sulle origini del fascismo alla Spezia, divenne professore di Lettere nella Scuola Secondaria Superiore e storico rigoroso. Si è occupato delle vicende del movimento operaio italiano e di scoperte geografiche, dando alle stampe numerosi volumi. Tra questi un posto di rilievo merita “La Spezia Marzo 1944. Classe operaia e Resistenza” che contiene gli atti della conferenza sugli scioperi del 1944, tenutasi il 1° marzo 1974. In tutta la sua vita Farina, prima Consigliere del PCI, poi stimato Assessore dell’Amministrazione comunale spezzina, ha sempre mostrato dedizione verso la propria comunità. Da ultimo, ne è stata prova anche la donazione alle Biblioteche del Comune della Spezia di una serie di volumi che rappresentano il percorso di una vita, testimoniando le preferenze, le scelte, l’amore per il suo impegno di insegnante e di storico. A lui è dedicato l’Auditorium della Civica Biblioteca Beghi.
a cura di Doriana Ferrato, Presidente ANED La Spezia
Premessa: la scelta della data La legge 20 luglio 2000 n. 211 ha istituito il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
L’articolo 1 precisa:
“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”
L’articolo 2 prosegue:
“In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”
Prima di giungere a definire il disegno di legge, in Parlamento si discusse a lungo su quale data di riferimento potesse essere considerata simbolica e su quali eventi fondare la riflessione pubblica sulla memoria.
Inizialmente emersero due opzioni alternative, avanzate rispettivamente dal deputato Furio Colombo e dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (ANED): il 16 ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma, e il 5 maggio, anniversario della liberazione del campo di Mauthausen.
Il 16 ottobre 1943 truppe tedesche delle SS e collaborazionisti fascisti effettuarono una retata di 1.259 cittadini ebrei prelevati dalle loro case; tra loro anche una donna incinta, che darà alla luce il suo bambino il giorno seguente. Saranno deportati ad Auschwitz in 1.023, solo una donna e quindici uomini sopravviveranno. Questa data avrebbe focalizzato l’attenzione sulle deportazioni razziali e sulle responsabilità, anche italiane, nello sterminio.
Il 5 maggio 1945 le avanguardie dell’Armata americana entrarono nel lager di Mauthausen, ultimo campo nazista liberato. Circa 20.000 deportati erano ancora prigionieri, quasi tutti al limite della sopravvivenza. Più del 10% morirà nel mese successivo alla liberazione, altri in seguito.
Si calcola che nel complesso dei lager dipendenti da Mauthausen siano stati imprigionati circa 230.000 deportati, quasi tutti “politici” e di decine di nazionalità diverse, oltre la metà deceduti.
La data del 5 maggio avrebbe sottolineato la centralità dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia.
Un’altra data fu proposta e accolta: il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz, divenuto simbolo universale dello sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche arrivarono per prime presso la città polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz), scoprirono il vicino campo di sterminio che rivelò compiutamente al mondo l’orrore del genocidio nazista e dei campi di sterminio.
Le cerimonie e le iniziative del “Giorno della Memoria” sono volte a conservare nel futuro la memoria delle vittime della Shoah e delle leggi razziali, di coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere gli ebrei, degli italiani perseguitati e deportati nella Germania nazista, sia militari sia politici.
Le cifre sono spaventose: circa 12 milioni di deportati (bambini, donne, uomini), 11 milioni di loro sterminati, circa la metà ebrei, gli altri principalmente oppositori politici e inoltre rom, sinti, zingari, Testimoni di Geova, asociali, apolidi, criminali comuni, omosessuali1.
Dall’anno 2005 il 27 gennaio, “Giorno della Memoria“, è una ricorrenza internazionale, come designato dalla risoluzione dell’Assemblea generale delle nazioni Unite.
Gli ultimi giorni di Auschwitz
Negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, la crescente pressione degli eserciti alleati sul Terzo Reich spinse i nazisti a liquidare progressivamente i campi di concentramento e i centri di sterminio situati a est e quindi prossimi alla linea del fronte orientale.
Il 18 gennaio 1945, incalzate dall’avanzata dell’Armata Rossa, le autorità naziste diedero inizio all’operazione di liquidazione definitiva del complesso concentrazionario di Auschwitz I, Auschwitz II (Birkenau), Monowitz (Buna) e dei suoi sottocampi, più di quaranta.
Le marce della morte
Circa 58.000 prigionieri di entrambi i sessi, purché si reggessero in piedi, furono incolonnati e costretti a marciare per chilometri nella neve in direzione ovest.
Ai liberatori, i percorsi si presenteranno disseminati di migliaia di corpi senza vita dei deportati, fucilati o morti per lo sfinimento o per il gelo durante il cammino.
I sopravvissuti alle marce della morte furono deportati principalmente ai campi di Mauthausen, Buchenwald e altri situati all’interno del Terzo Reich. I prigionieri superstiti vedranno la liberazione solo il 5 maggio 1945.
Primo Levi “giorni fuori dal mondo e dal tempo”
(18 gennaio – 27 gennaio 1945)
Primo Levi, deportato 174 517 nel lager Buna Monowitz, del complesso di Auschwitz, sopravvisse per alcune circostanze casuali: una certa conoscenza del tedesco che gli fece comprendere rapidamente le regole da rispettare nel lager, l’assegnazione al lavoro in laboratorio in una squadra di chimici e… la scarlattina. Infatti la malattia, nei giorni drammatici dell’evacuazione, non gli consentì di partire e lo costrinse a rimanere in infermeria nel campo. Questo lo salverà dalla “marcia della morte”.
In “Se questo è un uomo” Primo Levi testimonia ciò che ha visto e subito direttamente e l’oppressione esercitata contro l’uomo fino all’annientamento. Conclude l’autobiografia proprio con la “storia di dieci giorni fuori dal mondo e dal tempo”, (18 gennaio – 27 gennaio 1945), quelli dell’evacuazione e della liberazione del campo: in un mondo “di morti e di larve, l’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a loro e dentro di loro. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento da tedeschi disfatti”.
Dalla Spezia ad Auschwitz
Primo Levi era stato deportato ad Auschwitz dal campo di internamento di Fossoli (MO) il 22 febbraio 1944. In quello stesso trasporto (n.27), stimato intorno a 650 persone, delle quali 489 identificate2, si trovavano gli spezzini ebrei, donne, uomini e una bambina.
La piccola Adriana Revere ha compiuto nove anni da pochi giorni quando, con il padre Enrico e la madre Emilia De Benedetti, iniziò quel viaggio verso l’inferno che si concluse il 26 febbraio 1944. Adriana e la madre furono inviate alla camera a gas lo stesso giorno dell’arrivo ad Auschwitz II Birkenau, il padre superò la selezione ma successivamente fu deportato al campo di Flossenbürg, dove venne ucciso otto mesi dopo.
Nessuno degli ebrei spezzini deportati nei campi nazisti sopravvisse allo sterminio.
La liberazione di Auschwitz
Il Giorno della Memoria e La Spezia
La Spezia è una delle città italiane maggiormente colpita dalle deportazioni nazifasciste, in proporzione alla popolazione del tempo, e in particolare il quartiere di Migliarina, abitato da persone notoriamente antifasciste, già condannate negli anni Trenta a lunghi anni di esilio e confino e, dopo l’8 settembre 1943, tenute sotto stretta sorveglianza dai fascisti locali, pronti a vendette personali, ritorsioni e delazioni.
Il 27 gennaio di ogni anno La Spezia rinnova con sentita partecipazione il ricordo degli spezzini ebrei assassinati nel campo di Auschwitz e dei deportati perseguitati e uccisi per aver scelto di lottare per la Liberazione del Paese dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.
Erano sindacalisti e maestranze che avevano organizzato o partecipato nelle fabbriche cittadine allo sciopero insurrezionale del marzo 1944, erano combattenti per la resistenza e partigiani arrestati da compiacenti Brigatisti Neri, donne e uomini diversi per idee, di ogni condizione sociale, comprese figure delle Forze Armate e del clero, uniti nella Resistenza civile contro i nazi-fascisti.
Il grande rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944, rappresenta il culmine della ferocia nazifascista nel territorio spezzino.
Centinaia di cittadini inermi furono arrestati, imprigionati e torturati nella locale caserma XXI Reggimento di Fanteria, trasferiti via mare dal Molo Pirelli (oggi Molo Pagliari) al carcere di Marassi (GE) e poi nel campo di Bolzano. Infine deportati nei campi di sterminio del Reich, principalmente Mauthausen.
Gli ebrei, sterminati per la “colpa” di essere nati; tutti gli altri spezzini furono internati come oppositori politici. Accanto al numero di matricola, il triangolo di colore rosso, da esibire sulla divisa, nella simbologia del lager indicava il motivo della deportazione e il rosso rappresentava “i politici”.
A Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee, ma anche a Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen si contano vittime spezzine.
Dalla sezione ANED della Spezia sono state accertate 585 persone deportate, di cui 234 decedute nei campi nazisti, ma le cifre sono sicuramente maggiori3.
La Spezia detiene un tragico primato: il più giovane deportato “triangolo rosso” deceduto nei lager, il quattordicenne Franco Cetrelli, ucciso il 22 aprile 1945 a Mauthausen.
Le cerimonie e le molteplici iniziative nel Giorno della Memoria, in particolare con gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, rappresentano momenti di narrazione e di riflessione su quanto è avvenuto nel nostro territorio e quanto accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, per non smarrire la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, nella speranza che mai più torni quel passato.
Il triangolo rosso, assegnato ai progionieri politici
27 gennaio 1945 – 5 maggio 1945
Non dimentichiamo: il 27 gennaio 1945 non segna la fine dell’orrore nei lager!
Per oltre tre lunghi e drammatici mesi lo sterminio nei campi a ovest del Reich prosegue con indici di mortalità altissimi per il sovraffollamento, le malattie, la denutrizione, lo sfruttamento nel lavoro schiavo, le esecuzioni in massa…
A Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen e principalmente a Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee si contano centinaia di vittime spezzine uccise o mandate alla camera a gas nei mesi di marzo e aprile 1945.
Quando, il 25 Aprile 1945, l’Italia festeggiava la Liberazione dal nazifascismo, la camera a gas di Mauthausen era in funzione a pieno regime: era l’ultimo giorno.
Il 25 Aprile dei superstiti di Mauthausen e dei sessanta campi dipendenti, sarà il 5 maggio 1945.
Il simbolo assegnato ai Testimoni di Geova
Fonti
Archivio ANED della Spezia.
Tibaldi Italo, Compagni di viaggio Milano, Franco Angeli, 1994.
Sito: www.deportati.it
Note
Le SS, probabilmente a partire dal 1937, introdussero nel sistema concentrazionario la classificazione dei deportati in base al motivo della deportazione. A ciascun deportato era assegnato come contrassegno un triangolo in stoffa di diverso colore da cucire sulla casacca, con mezzi di fortuna, con il vertice rivolto verso il basso. Semplificando, i colori erano i seguenti: Giallo, costituito da due triangoli sovrapposti a formare la stella di David per gli ebrei; Verde per i criminali comuni; Viola per i Testimoni di Geova; Marrone per gli zingari, rom, sinti; Nero per gli asociali: Azzurro per gli apolidi; Rosa per gli omosessuali; Rosso per gli oppositori politici, con all’interno la sigla della nazionalità. Nel triangolo rosso degli italiani c’era la “I” e talvolta “IT”. ↩︎
Italo Tibaldi, deportato diciassettenne e superstite dei campi di Mauthausen ed Ebensee, dopo la liberazione ha dedicato la sua vita a studi e ricerche sulla deportazione dall’Italia ai lager nazisti, raccogliendo circa 44.000 nomi di deportati italiani. Ha svolto una ricerca capillare sui convogli dall’Italia e dalle isole greche verso il Reich e identificato nomi dei deportati di 267 trasporti. ↩︎
Dati in possesso di ANED della Spezia in “Elenco delle persone deportate nei campi di sterminio KZ, registrate dalla sezione”. ↩︎
Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista, che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.
Il rastrellamento, spesso ingiustamente trascurato dalle cronache e dalla storiografia generale, è, in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.
Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” così descrisse quei giorni:
“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”
Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili, non sempre lineari, più di una volta dolorose, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.
Nella 79° ricorrenza del rastrellamento, se qualcuno volesse leggere una veloce sintesi delle vicende occorse alle varie Brigate, nel quadro della massiccia operazione nazifascista, segnalo: La “Battaglia del Gottero”, una vera epopea senza retorica, pubblicata da ISR/ETS La Spezia, particolarmente utile per “rispolverare” la storia.
Quest’anno, tuttavia, ISR/ETS può presentare una novità che va a completare la pubblicazione, approfondendo alcune questioni.
Infatti, sulla scorta di quanto ho letto e sulla base di ricerche fatte, ho delineato due Mappe tridimensionali, a colori, con l’obiettivo:
a) di rendere chiara agli occhi di chi legge la vasta area del rastrellamento stesso e le forze nemiche impiegate in esso;
b) di far comprendere l’epicità dello sganciamento attuato dai partigiani del Battaglione “Vanni”1 che, dopo avere combattuto, si diressero, come era stato ordinato loro dal Comando IV Zona Operativa, verso il Monte Gottero, completamente innevato, arrivando a sopportare temperatura di 20 gradi sotto zero.
La Mappa n.12 delinea l’area del rastrellamento e le forze in campo. Ho lavorato ad essa basandomi su testi già noti, ma integrandoli a seguito di mie riflessioni, per mettere in evidenza le direttrici della manovra, specificando, dove possibile, i reparti nazifascisti impegnati.
Mappa 1: Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa
La Mappa n.23 chiarisce invece come il Battaglione “Melchiorre Vanni” (Comandante Astorre Tanca “Astorre”4; Commissario Politico Franco Mocchi “Paolo”) riesca a salvarsi, dapprima combattendo duramente verso Bozzolo e poi nella zona di Zignago, sganciandosi, infine, con l’ascesa quasi proibitiva, a causa delle condizioni climatiche e ambientali, della fame e dei vestiti non adatti, verso il Monte Gottero.
Mappa 2: Sganciamento dallo Zignago del Battaglione “Vanni”, andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945
Il cammino percorso, sull’andata e sul ritorno, fu incredibilmente lungo come chilometri e incredibilmente corto come capacità oraria di percorrerli, nonostante l’itinerario impervio, e la durissima giornata di combattimenti del 20 gennaio, che pesava sulle spalle di quegli uomini.
Il Battaglione “Vanni”, dopo avere combattuto senza sbandamenti, si ritrovò infatti, come stabilito, a Pieve di Zignago (sera del 20 gennaio 1945): qui la popolazione5 diede, con spirito fraterno, ai partigiani, tutto quel poco, praticamente quasi niente, che aveva, per cibarsi. Lo sganciamento avvenne in modo ordinato, e tendenzialmente omogeneo: se ci furono delle diversificazioni nei tempi, e delle variazioni di piccoli gruppi, esse furono causate dalla eventualità onnipresente di imboscate, dalla durezza del cammino, nonché dalla fatica e dai sintomi gravi di congelamento in numerosi partigiani.
Comunque, il ritorno dei primi gruppi6, e sembra quasi incredibile, avvenne già alla mezzanotte del 24 gennaio 1945, a Torpiana.
NOTE
1 La scelta di illustrare l’itinerario di tale Battaglione è dipesa dal fatto che ISR/ETS La Spezia sta preparando una pubblicazione su di esso, in cui confluiranno, tra le altre, le Mappe che vengono presentate nell’articolo. Per una visione complessiva delle vicende del Battaglione, V. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/battaglione-m-vanni/.
2 Per costruire la Mappa n.1 mi sono rifatto ai seguenti libri: AAVV, “La Battaglia del Monte Gottero”, ISR, 1970; Gimelli, Giorgio (a cura di Franco Gimelli), La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, Carocci, 2005; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; Battistelli, Pier Paolo, La Wermacht in Italia 1943-1945.Wehrmacht. Waffen-SS. Organisation Todt. SS e Polizei, Agrafe, 2022, nonché a vari documenti presenti in AISRSP.
3 Per costruire la Mappa n. 2 mi sono servito della Testimonianza di Giuseppe Mirabello “Apollo”, che fu impegnato, a capo del suo Distaccamento, tra Serò, Imara e Valle Oscura (in una carta militare del 1930 detta “Valle Scura”), confrontandola con le testimonianze di Saverio Sampietro “Falchetto” e Ottavio Chiappini “Lepre” (v. AISRSP) e con altri documenti di Archivio.
4 Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM alla memoria, muore, in combattimento, a Pieve di Zignago, il 4 marzo 1945
5 A proposito della popolazione, va ricordato brevemente, in questa sede, che essa non solo diede aiuto morale e materiale, ma che quella di Serò (dove si trovavano un Distaccamento del Battaglione “Vanni” e una Compagnia di “Giustizia e Libertà”, quest’ultima agli ordini di Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM alla memoria, in seguito catturato sul Dragnone e poi fucilato (V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/03/Pagani-Giovanni-largo.pdf), partecipò direttamente, prendendo le armi, ai combattimenti.
6 Tra essi, quello di Giuseppe Mirabello “Apollo” (V. Testimonianza).
A cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello*
(* Presidente e Vice Presidente Fondazione ETS ISR La Spezia)
Abbiamo deciso, come ISR-La Spezia, di dedicare, in questi primi giorni del 2024, un ricordo aGiulivo Ricci1 che tanto ha scritto, tra l’altro, sulla Resistenza spezzina e lunigianese, consentendo a tutte/tutti noi, successivamente, di attingere al patrimonio prezioso che ha lasciato, sia per le storie narrate dai suoi libri, sia per la documentazione in essi contenuta.
Sicuramente, nel frattempo, la ricerca sul territorio è andata avanti, ma non dobbiamo mai dimenticare che, senza l’apporto di Giulivo Ricci, e di altri2 che, con passione, hanno indagato gli avvenimenti resistenziali, non sarebbe possibile a noi, oggi, integrare, approfondire, e, se necessario, emendare, la storia della IV Zona Operativa.
Abbiamo perciò pensato che fosse cosa buona, per ricordarlo, estrapolare alcuni passaggi contenuti nei suoi libri, dedicati ai primi nuclei di Resistenza che si formarono in maniera embrionale nel territorio spezzino e lunigianese (con riferimento alle vicende spezzine), volgendo perciò lo sguardo a quello che accadde tra autunno 1943 e fine gennaio 1944, riguardo:
1) al gruppo misto, fondamentalmente composto da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della successiva Brigata garibaldina “Ugo Muccini”;
2) al gruppo di Torpiana (Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”;
3) al delinearsi della figura di Gordon Lett;
4) al Gruppo “Bottari”; al Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”, di aderenza azionista.
I brani, necessariamente selezionati, tratti dai libri di Giulivo Ricci, sono collocati tra virgolette3; i raccordi esplicativi tra essi, scritti in corsivo, sono curati da chi ha scritto questo articolo, e sono ripresi, ma solo in parte, da lavori on line, già pubblicati da ISR nel proprio sito, vedi: Lessico della Resistenza e Le vie della Resistenza.
Argomento: Gruppo misto, fondamentalmente formato da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della futura garibaldina Brigata “Muccini”
Zone di riferimento: Val di Magra, Tresanese (Lunigiana), Prede Bianche (tra Val di Magra e Val di Vara).
A Sarzana il Partito Comunista, aveva un gruppo fortemente determinato, che, nonostante le varie ondate di arresti, persisteva, in qualche modo, dal Ventennio fascista. A capo di esso era Anelito Barontini4, per cui, già a ridosso dell’8 settembre 1943, sulle colline retrostanti la città, aveva trovato collocazione un nucleo di ispirazione comunista, articolati tra la Ghiaia di Giucano, Prula, Monte Nebbione. Comandante militare del gruppo, come tale generalmente riconosciuto, era Emilio Baccinelli5, mentre Paolino Ranieri6 assumeva di fatto il ruolo di Commissario politico. L’ obiettivo era quello di tessere le fila organizzative nella bassa Val di Magra, tra Lerici, Vezzano, Arcola, Santo Stefano e Sarzana, dove, non a caso, furono compiuti attentati di tipo gappistico7, fermo restando che l’attività dei GAP altro non era se non un’emanazione dei gruppi dimoranti sulle colline.
Nel frattempo si era formato un gruppo santostefanese, avente come riferimento Primo Battistini8 (che in seguito si chiamerà “Tullio”).
“Dalla zona di Caprigliola, intanto, Primo Battistini, che a queste operazioni gappistiche diede un suo contributo insieme con Emilio Baccinelli, si era spostato sotto la Casa Bianca, alle Prade di Falcinello, in casa di un Musetti. Lì i sarzanesi, e soprattutto Dario Montarese (Briché)10 e Paolino Ranieri (Andrea), lo avvicinarono e, da quel momento, i rapporti, nonostante una certa autonomia dei due gruppi saranno mantenuti; dovendosi fin da ora sottolineare che quanto l’antifascismo e la professione di fede comunista dei vecchi carcerati e confinati politici erano provati, meditati e volti a considerare globalmente i problemi dell’ora, tanto l’antifascismo di ‘Tullio’ era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente dei freni che i primi avrebbero voluto a buon diritto imporre”.
“’Tullio’ era poi tornato per qualche tempo verso Caprigliola e Santo Stefano, perché era stato avvertito che alcuni giovani intendevano unirsi ai ‘ribelli’: questi erano, tra gli altri, Adalberto Signanini [NdR12: in realtà Cesare Signanini13 “Adalberto”], il cui padre, in contatto con il CLN, era addetto alla mensa dello Stabilimento ‘Muggiano’…”
A seguito dei colpi di mano gappistici, e per eventuali azioni di antiguerriglia fasciste, alcuni esponenti del gruppo sarzanese si misero alla ricerca di un luogo dove potersi trasferire in sicurezza, individuandolo, dopo avere a lungo girovagato, nella località Trambacco, Comune di Tresana (MS), non lontana da Bolano (SP) e da Podenzana (MS). Al Trambacco andò anche Primo Battistini.
“Un primo gruppo nel quale si trovavano, tra gli altri, ‘Briché’, Pilade Perugi, ‘Tullio’, Luciano Magnolia, Emilio Baccinelli, Guglielmo Vesco ed Ernesto Parducci, partì il 27 dicembre15… Qualche giorno dopo arrivarono gli altri, da venti a trenta uomini in tutto: Paolino Ranieri, Ercole Madrignani, Flavio Bertone16, Goliardo Luciani, Giuseppe Podestà, Angelo Tasso, Amedeo Luigi Giannetti, Lino e Ottorino Schiasselloni, i fratelli Forcieri e il figlio del vicesindaco socialista di Sarzana, Lanfranco Sabbadini (‘Cesare’); insomma i componenti dei nuclei già costituiti fra i Succisi di Caprigliola, Ponzano e Falcinello.
Al Trambacco si portavano anche Anelito Barontini, Giovanni Albertini del Canaletto, che era stato uno dei primi dirigenti giovanili comunisti clandestini ed aveva patito il confino di polizia nel 1933, e Anselmo Corsini che, con l’Albertini e Barontini, dopo l’8 settembre 1943 faceva parte del Comitato Federale del PCI… E al Trambacco, secondo autorevoli testimonianze, da altri non accolte, si sarebbe costituito ufficialmente per la prima volta un distaccamento garibaldino nel nome di ‘Ugo Muccini’”.
Svariate furono le azioni compiute avendo come base di partenza il Trambacco, da cui talvolta si allontanavano anche, per incombenze varie, alcuni uomini; lo stesso Anelito Barontini dovette rientrare, insieme ad Anselmo Corsini, alla Spezia, dove era stato nominato segretario del PCI al posto di Terzo Ballani, che aveva retto di fatto la Segreteria fino ad allora. La permanenza al Trambacco si rivelò dunque impossibile per motivi logistici. Il gruppo, costituito in prevalenza da sarzanesi, girovagò alquanto.
“Anche nella guerra per bande occorreva [NdA= secondo il PCI] fare di più: quella di Ranieri, di Montarese, di ‘Tullio’ ‘sganciatisi’ al Trambacco, era in effetti l’unica banda che il PCI spezzino fosse riuscito a conservare, ma ora essa si trovava a mal partito, proprio mentre altre forze politiche antifasciste, antinaziste e socialiste, tra Vezzano e la Val di Vara, usufruendo dell’apporto di ex-ufficiali dell’esercito italiano come Franco Coni, Pietro Borrotzu18 e il colonnello Bottari19, stavano attivamente cospirando e tessendo la tela di un’organizzazione guerrigliera di stampo ‘badogliano’, ma politicamente influenzata o influenzabile dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione…
…Le condizioni di vita al Trambacco apparvero, dopo poco tempo, tali da non consentire una permanenza…
Sta di fatto che la comunanza si sciolse, profilandosi l’esigenza della ricerca della possibilità di sopravvivere in attesa che si ricreassero le condizioni per la ripresa della lotta.
Un gruppo costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, poco dopo oltre la metà di gennaio decise di rifugiarsi a Zerla, villaggio in Comune di Albareto…”.
Di tale gruppo sarzanese facevano parte, in quel momento, Paolino Ranieri, Podestà, Vesco, Montarese, Goliardo Luciani, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Essi però vennero rapidamente individuati, dovettero varcare il Monte Gottero, recarsi a Popetto nel Comune di Tresana (MS) e, infine, tornare indietro, tra Forte Bastione e Vallecchia, tra il Comune di Fosdinovo e quello di Castelnuovo Magra.
Tra i “ribelli” del Trambacco c’era tuttavia, come già detto, anche una decina di uomini che, raccolti intorno a Primo Battistini, preferirono, dopo aver lasciato quella zona, andare verso l’alto, alle Prede Bianche, tra Val di Vara e Val di Magra, dove rimasero fino al 30 gennaio 1944, quando, sorpresi da un attacco nemico, ebbero un morto e tre prigionieri. Si salvò, con alcuni, grazie a uno stratagemma, Primo Battistini.
Ritroveremo Primo Battistini, qualche elemento del primitivo gruppo sarzanese-santostefanese ed altri, arcolani e spezzini, nel frattempo confluiti verso il Parmense, impegnati nell’ambito della così detta banda “Betti”, quando, il 12 marzo 1944, avvenne, a Valmozzola, il famoso assalto al treno. Ma questo avvenimento, molto importante, sarà raccontato a parte.
Gruppo di Torpiana (Val di Vara, Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”20
Zone di riferimento: Zignago (Torpiana) e Rossanese (Zerasco)
Il primo nucleo organizzato dal Partito d’Azione sul territorio spezzino è ascrivibile a Torpiana di Zignago, dove, a partire dall’autunno 1943, operano azionisti genovesi con la collaborazione di quelli spezzini. A tale proposito, si possono citare i nomi dei genovesi Giulio Bertonelli “Balbi”22, importante figura di riferimento del Partito d’Azione ligure, Edoardo e Gaetano Basevi, Antonio Zolesio, Pier Lorenzo Wronowski, mentre sono autoctoni i Bogo, i Ferretti, i Benelli e Livio Acerbi.
Il nucleo di Torpiana, che si sviluppa appunto nell’inverno 1943-1944, stringe anche importanti rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza: al comando degli inglesi è il Maggiore Gordon Lett.
“… La posizione geografica [NdR: di Torpiana] offriva notevoli garanze per i requisiti che le erano propri, il trovarsi cioè quel villaggio all’interno di un Comune, Zignago, completamente privo di strade rotabili, Sufficientemente lontano dalle vie di comunicazione principali ma non tanto da ostacolare un rapporto od un contatto con il mondo ‘esterno’ ai fini del collegamento con la stessa città capoluogo di provincia, oltre che con altri ‘centri’ cospirativi e logistici, primo fra tutti Brugnato, punto di riferimento obbligato e tappa ineliminabile tra la Spezia e l’Alta Va di vara e, per sentieri e mulattiere impervi, Calice al Cornoviglio, Zeri, Rossano e la Val di Magra… A queste condizioni proprie dell’ambiente fisico si aggiungevano le caratteristiche dell’ambiente umano, di una popolazione ospitale, che aveva subito passivamente il fascismo, che aveva anzi visto non pochi tra i suoi figli rifugiarsi in Francia e in America durante il ventennio e, con l’invasione tedesca, divenire partigiani nella Resistenza d’Oltre Alpe. Altri fattori sostanziali vanno ricercati nel fatto che un esponente antifascista, qualificatosi su scala regionale, come Giulio Bertonelli, che già abbiamo più volte incontrato, fosse nato proprio in Comune di Zignago e mantenesse rapporti con la terra di provenienza, e che a Torpiana si trovassero, rifugiativisi per sfuggire alle persecuzioni razziali, i genovesi Edoardo e Gaetano Basevi, cugini, i quali si metteranno in contatto con un loro conoscente, il dottor Antonio Zolesio, che svolge a Genova attività cospirativa nell’ambito del partito d’Azione ed è già in contatto con altri noti antifascisti. E neppure va dimenticato che dal 15 ottobre 1943 a Rossano di Zeri, villaggio posto oltre la catena montuosa ma a pochi chilometri in linea d’aria da Torpiana, era capitato Gordon Lett, ex prigioniero di guerra, insieme con il sergente australiano Bob Blackmore, che poi abbandonerà il maggiore inglese e passerà alla G.L., il fuciliere Mick Micallef ed altri.”
“Nei primi tempi, come del resto in molti italiani, predominava in Gordon Lett la preoccupazione di non rischiare la vita, neppure con l’attraversamento delle linee del fronte, dal momento che ci si illudeva in una assai rapida fine del conflitto. Secondo un esponente della guerriglia tra Vara e Magra25, il Lett era, in quei tempi, convinto che il rischio non valesse la candela.
Chiusa momentaneamente questa parentesi su Lett, che sarà più volte riaperta, aggiungiamo subito che come in altre località di campagna e di montagna, anche a Torpiana ed in altri villaggi del Comune di Zignago e dei comuni limitrofi, avevano trovato ospitalità militari sbandati di ogni arma, soprattutto meridionali, impediti ed ostacolati a rientrare nei paesi nativi dalla divisione in due della penisola, configurantesi ormai in ‘Italia liberata? E in ‘Italia occupata’.
Tutti questi fattori, a loro volta, avevano agito fortemente nel senso di creare un’atmosfera di libertà e di speranza, di modo che le chiamate alle armi del governo di Salò non avevano conseguito risultati concreti; e materiale umano per l’opera di cospirazione e, poi, di lotta armata, stava maturandosi, pronto per i ruoli di collaboratori, d’informatori, di combattenti.”
“Secondo i ricordi del Bertonelli, l’inglese, ufficiale effettivo dell’esercito, concepiva i futuri partigiani italiani come una specie di legione straniera dell’esercito di Sua Maestà britannica. In ogni modo, la discussione [NdR: tra Bertonelli e Gordon Lett, durante un incontro avvenuto, secondo Giulivo Ricci il 1 novembre 1943] servì a chiarire a Gordon Lett quale fosse invece il concetto dominante deli antifascisti italiani, che si dichiararono pronti a stabilire un contatto tra lui e l’Inghilterra, dal quale sarebbero potuti uscire esiti favorevoli alla progettata collaborazione nella lotta contro il comune avversario. In effetti, gli azionisti milanesi, con Parri, avevano istituito un servizio di comunicazioni con la Svizzera e a Genova il Prof. Ottorino Balduzzi era riuscito a collegarsi con la Corsica. La lettera che il maggiore Gordon Lett consegnerà al Bertonelli giungerà a Londra prima di Natale.”
Gruppo Bottari; Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà” di aderenza azionista
Zone di riferimento: Vezzano Ligure, Calicese e Val di Vara.
Il nucleo ascrivibile al Calicese, cui afferisce un’area punteggiata da varie realtà, si sviluppa, sempre a partire dall’autunno 1943, dapprima con l’obiettivo di darsi una struttura organizzativa e, dal febbraio 1944, anche con scopo operativo.
Si formano inizialmente tre gruppi: uno in Località Borseda (con Ferdana, Garbugliaga, Beverone), uno in Località Debeduse (con Lavacchio Terrugiara e Vicchieda); uno in Località Villagrossa allargatosi poi a Santa Maria, Molunghi; Calice-Campi-Nasso; Suvero; Veppo e Casoni; Castiglione Vara.
Gli aderenti di Borseda, Debeduse e Villagrossa, partecipano al primo incontro di coordinamento, che ha luogo presso il cascinale Buscini, in località Debeduse, già il 19 ottobre 1943: promotore e coordinatore dell’incontro stesso è il Tenente Daniele Bucchioni27.
Si muove anche la frazione di Madrignano; Piana Battolla, Follo e Pian di Follo, dove esplicano un’intensa attività il capitano Orazio Montefiori (“Martini”)28 e Fernando Chiappini, collegatisi poi con il movimento già sorto a Vezzano Ligure29, mentre a Valeriano troviamo Amelio Guerrieri30.
Particolare incidenza assume, in questo quadro, la figura di don Carlo Borelli31, parroco di Follo Alto, che diventerà poi cappellano di GL. Sempre a Follo-Bastremoli va ricordata la figura di Agostino Bronzi32, insigne militante socialista che lì risiede e che, in un certo senso, assume la funzione di tramite con il gruppo di Vezzano Ligure.
“Un punto di riferimento obbligato per chi voglia affrontare il problema generale della Resistenza alla Spezia, quello particolare della nascita delle prime formazioni patriottiche combattenti e, in maniera speciale, dei prodromi e dei primi passi dei nuclei che daranno vita alla Brigata d’Assalto Lunigiana e, successivamente, alla Colonna GL, è costituito dal Gruppo ‘Bottari’’… Il movimento sorto a Vezzano Ligure dall’innesto del patriottismo di derivazione legittimistico-militare sul vecchio tronco antifascista e socialista locale viene condotto in modi e forme diverse con l’attività politica del centro cittadino, con elementi azionisti e, ad un certo punto, fornirà alcuni dei quadri più qualificati all’organizzazione e alla direzione della guerriglia in Val di Vara… La presenza a Vezzano Ligure del colonnello Giulio Bottari34, ufficiale in SPE, reduce dalla Russia e in licenza, di orientamento chiaramente antifascista, del maresciallo Luigi Dallara, del marinaio Baviera è fattore assai importante di mobilitazione, specie verso il recupero delle armi.
Il colonnello Bottari è messo in contatto con l’ambiente socialista spezzino, con l’avvocato Agostino Bronzi, con Pietro Beghi35, con Rodolfo Locori e Vincenzo Puglia. Le idee divergono: il colonnello, in linea con la sua mentalità, tende alla costituzione di nuclei e gruppi composti esclusivamente da militari, ovviamente i dirigenti socialisti sono di altro parere.
Questo iniziale contrasto non impedisce la collaborazione. Un salto di qualità è operato dall’arrivo in paese del tenente sardo Piero Borrotzu36 -cugino di Antonio Ferrari- subito diventato infaticabile animatore e attore del movimento patriottico37.”
“ D’altra parte le località39, in cui si erano sprigionate queste preziose scintille, non presentavano le caratteristiche proprie delle terre atte alla guerriglia Né tanto meno quelle di un ambiente aggregante per il confluire di quegli elementi e fattori diversi, indispensabili al crearsi delle condizioni favorevoli al nascere, allo sviluppo e alla direzione della lotta armata… queste condizioni… potranno trovare la possibilità di concretarsi a Torpiana40, nel montano Comune di Zignago, in Val di Vara, quasi al confine con il territorio della provincia di Massa Carrara.”
Se questo succedeva nelle varie aree geografiche sommariamente delineate, va anche ricordato che, contemporaneamente, soprattutto in città, alla Spezia, muoveva i suoi primi e non facili passi il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale (CLNp)41, istanza unitaria delle forze politiche antifasciste.
Note
1 Giulivo Ricci, nato ad Aulla il 27 gennaio 1924 e morto a Fivizzano il 23 settembre 2009, caratterizzato da profondi e molteplici interessi per la terra di Lunigiana, cui ha dedicato numerosi scritti a carattere culturale (a lui è intitolato il Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi, che fondò), si volge, già dagli anni Settanta del Novecento, alla tematica della Resistenza, collaborando proficuamente con l’Istituto Storico della Resistenza spezzino, sorto nel 1972. All’inizio degli anni Ottanta, Ricci partecipa attivamente alla costituzione dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, di cui poi sarà anche, per un lungo periodo, Presidente. Citiamo, per un invito alla lettura e per eventuali ricerche, i seguenti volumi di Giulivo Ricci, che fanno parte, insieme ad altri dello stesso Autore, della dotazione libraria di ISR La Spezia: Avvento del fascismo, Resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra (1975), Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana (1976), Storia della Brigata Matteotti-Picelli (1978), Storia della Brigata garibaldina Ugo Muccini ( 1978), I verbali delle sedute del Comitato comunale di liberazione nazionale di Aulla ( 1978), La Spezia combatte in Valsesia (1980), Resistenza in Lunigiana e fuoruscitismo apuano (1984), La Colonna Giustizia e Libertà (1995), La Brigata garibaldina Cento Croci, a cura di Giulivo Ricci, Varese Antoni e altri, ( 1997), Dalle montagne di Lunigiana (1999), Diserzione renitenza alla leva in Lunigiana durante la Repubblica di Salò (2000), I gruppi di Merizzo e di Monti (2002), Itinerari della resistenza Apuana (2004) Tra gli innumerevoli Convegni e iniziative culturali che promosse, va citato, a proposito di Resistenza, l’importante Convegno “Retrovie della Linea Gotica occidentale. Il crocevia della Lunigiana” che si svolse, nel 1986, ad Aulla, Pontremoli e Fivizzano, di cui curò anche la pubblicazione degli Atti. [NdR: per la data di nascita e di morte si ringrazia Paolo Bissoli, Presidente ISRA).
2 Cercheremo, nel corso dell’anno 2024, di ricordare, in qualche modo, specie attraverso stralci dai loro scritti, anche altri storici e/o appassionati di storia, che, ormai deceduti, hanno trattato il periodo resistenziale spezzino.
3 Non si riportano però le lunghe e documentate Note di Giulivo Ricci. Le Note dell’articolo, molto brevi, sono state curate dalle redattrici, facendo spesso riferimento a materiale on line nel sito ISR.
11 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.
12 NdR: Nota delle Redattrici dell’articolo.
13 Nell’estate 1944 il primo nome della Brigata “Vanni” (Comandante Primo Battistini “Tullio”), essendo, nel frattempo, Signanini morto, sarà proprio quello di “Signanini”.
14 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.
23 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.
24 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.
25 Giulivo Ricci si riferisce, come dichiara in una Nota, a Ezio Giovannoni, esponente di GL, capo del SIM (Servizio Informativo Militare) IV Zona Operativa.
26 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.
37 Va ricordato, insieme a lui, Franco Coni, anch’egli sardo, sottotenente dell’Esercito e suo amico. V. 1a Compagnia Arditi
38 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.
39 Le località comprese da Ricci, e di cui parla, vanno anche oltre il Calicese.
40 Di Torpiana si è già parlato nei Paragrafi precedenti.
Questo articolo è stato scritto dopo un mio sopralluogo a Vezzano e, dal punto di vista bibliografico, grazie a chi ha fissato sulla carta i fatti del 7 dicembre prima di me. ISR La Spezia “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure. Testimonianze raccolte dal Centro Culturale ‘7 dicembre’ di Vezzano Ligure”, 1976 (Misc. F 1 24); Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, Edizioni Giacché, 1994; Laura Lotti “Attilio e gli altri, con documenti e testimonianze”, Lunaria, 1996; Scheda nello Stradario della Resistenza spezzina, a cura di Francesca Mariani, dedicata a Piazza del Popolo-7 dicembre 1944; Schede per l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia curate da Maurizio Fiorillo, dedicate al 7 dicembre 1944 e al 2 febbraio 1945.
NdR Foto di copertina a cura di Mauro Martone
Sede del CLN vezzanese come è oggi. Foto di Mauro Martone
Contesto generale e premessa
Nel dicembre 1944, pur essendo svanita la speranza di una rapida avanzata alleata e di una prossima liberazione, dato l’arresto del fronte e il proclama del generale Alexander (13 novembre 1944), con il quale praticamente lo sforzo bellico veniva rimandato alla primavera successiva, la Resistenza partigiana in IV Zona Operativa, tuttavia, permaneva, non smobilitandosi, né sulle montagne, né al piano.
Va detto, però, che I colpi assestati alla popolazione civile1 e alla Resistenza armata furono, in quella fase, particolarmente duri. Basti pensare alla Brigata “Muccini”, che aveva subito il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1944, e che, pur essendo passata, in una sua parte, oltre le linee, si stava faticosamente ricostituendo nella zona di appartenenza, sebbene fosse destinata, di lì a pochi giorni, a patire un ulteriore rovescio. Venne infatti catturato il Commissario politico, Paolino Ranieri “Andrea”, fermato mentre cercava medicine per alcuni superstiti del rastrellamento, rimasti feriti. Sempre nella stessa fase, al piano, anche qualche appartenente alle SAP (Squadre Azione Patriottica) fu costretto ad allontanarsi, perché ormai “bruciato”, cioè scoperto, o in odore di esserlo2. Tra i sappisti, sicuramente, Rina Gennaro “Anna”, che operava tra Ponzano Magra e La Spezia, e Filippo Borrini “Pino”, con tutta la sua famiglia3. “Pino”, figlio di Andrea Borrini, operaio dell’OTO Melara, a sua volta aggregatore di forze all’interno della fabbrica (anche in occasione degli scioperi del marzo 19444), aveva diretto il Fronte della Gioventù5, dopo la partenza dalla Spezia del primo organizzatore di giovani ribelli, Arrigo Diodati “Renato” o “Franco”6. Proprio Filippo Borrini aveva operato, come base di partenza, principiando dall’area di Vezzano Stazione, dove abitava, per allargare il suo raggio di azione alla zona vezzanese, a San Venerio, Carozzo, luoghi finitimi7, e oltre.
Già nell’autunno 1943, dunque, l’area vezzanese8 era stata caratterizzata da molteplici segni di insofferenza, e, progressivamente, da una vera e propria resistenza a tedeschi e fascisti, tanto che tale area diventò un bacino particolarmente fecondo, da cui avrebbero ampiamente attinto sia le varie formazioni partigiane armate della montagna, sia le SAP, e da cui sarebbero emersi , via via, molti personaggi che, vezzanesi per origine o per adozione o per transito, avrebbero illuminato, alcuni anche con il sacrificio della vita, la Resistenza spezzina9.
E proprio Vezzano Ligure è teatro di una vicenda, tra le più drammatiche dell’epoca, accaduta il 7 dicembre 1944 e destinata, da un lato, a pesare fortemente su un’intera comunità, nonché sulla rete resistenziale clandestina, e quindi sul CLN e sulle SAP locali, dall’altro, ad accentuare il quadro difficile in cui si colloca a livello provinciale il periodo fine novembre-dicembre 1944. Infatti, durante la notte, il paese è racchiuso dentro una morsa che il giorno 7 lo stringe senza scampo, essendo controllate tutte le possibili vie di uscita. I rastrellatori, tedeschi e fascisti, sono informati su che cosa cercare e su chi cercare11. Non solo, nell’accadimento, tragedia e beffa si mescolano: infatti il CLN spezzino aveva saputo per tempo che il giorno 7 ci sarebbe stato un rastrellamento, e l’aveva comunicato, tanto che le persone a rischio, tra cui il Segretario locale del CLN, Enrico Bucchioni, erano avvisate e pronte ad allontanarsi. Ma, ad un certo punto, proprio il giorno 6 dicembre, e non da parte del CLN12, era pervenuto inopinatamente un altro avviso, che, spostando la data all’8 dicembre, aveva determinato il fatto che nessuno ritenesse opportuno andare via già il 7.
Successe così che, alle 5 del mattino, nazisti e fascisti13 (questi ultimi agli ordini di Aurelio Gallo14) cinsero, con un vero e proprio assedio, il borgo, uccisero, con raffiche di mitra, Vera Giorgi e Carlo Grossi, che si erano affacciati sulla porta delle loro case15, ferirono in modo molto grave il sottufficiale di Marina, sappista, Giuseppe Carmè, che aveva tentato di fuggire sui tetti, morendo alcuni mesi dopo.
Furono fermate centinaia persone (circa 300), da cui fu scremato un numeroso gruppo (circa 90 uomini). Trasferiti in carcere, interrogati, in molti casi ferocemente torturati perché svelassero altri nomi, solo in parte rilasciati, furono portati con motozattere a Genova, e da qui mandati a Bolzano, per raggiungere poi, quale meta finale, i campi di concentramento, da cui in molti non ritornarono16. IL CLN vezzanese fu decimato: due membri di esso, Piero Andreani, Presidente, di 60 anni, ed Enrico Bucchioni, Segretario, di 24 anni, rimasero, sottoposti a sevizie, nel tristemente noto carcere, già sede del XXI Reggimento fanteria, da cui uscirono17 solo il 3 febbraio 1945, per essere però uccisi. Trasportati infatti davanti alla chiesa di Vezzano Basso, nel così detto “Campo”18, furono lì fucilati19.
Due uomini di età completamente diversa e con un unico destino
Dal libro di Anna Valle20 traggo materiale sui due fucilati. Il motivo per cui lo furono, in una mattinata fredda e piovigginosa, è sicuramente dovuto al fatto che essi erano ben conosciuti dai fascisti come esponenti di primo piano del CLN vezzanese: proprio perciò vennero prelevati dalla spedizione fascista agli ordini di Aurelio Gallo, in occasione della rappresaglia di cui si parla nella Nota 18. Posso fare anche l’ipotesi che non fossero stati eliminati in precedenza, o non avessero seguito la sorte di altri vezzanesi, deportati, in virtù del solito motivo, costituendo infatti essi, all’occasione, un’utile merce di scambio21. Ma questa è solo una mia ipotesi22.
Pietro Andreani23, detto “Pié de Cavana” era nato nel 1884. Antifascista, comunista fin dal 1921, licenziato, emigrato nel 1922, ritorna in Italia e fa il falegname, attività autonoma che probabilmente gli consente di sopravvivere tra le maglie della occhiuta vigilanza del regime dittatoriale, riprendendo le fila della cospirazione alla caduta del regime, e diventando, universalmente stimato, Presidente del CLN vezzanese. Catturato il 7 dicembre, è consapevole che molto difficilmente avrà scampo. Nel carcere dell’ex XXI è sottoposto a sevizie24 particolarmente prolungate, che risultano da numerose testimonianze25, e tuttavia riesce a provare sentimenti di solidarietà verso i compagni di prigionia26. Prima di essere fucilato, avrebbe gridato “Viva il comunismo”27.
Enrico Bucchioni, figlio di Natale e di Antonia Bellati, nasce nel 1920. Il padre, arsenalotto, integra il reddito familiare lavorando terreni di sua proprietà. In famiglia ci sono altri due figli, Natale (Francesco)28 e Pierino29. Portato alle belle arti, suona il violino e impara a dipingere sotto la guida di Navarrino Navarrini, diplomandosi maestro e non iscrivendosi all’Università per motivi economici. Cattolico, volto al prossimo, instaura un rapporto di stima con il parroco di Vezzano Alto30. L’8 settembre 1943 è militare, a Perugia e, arrivato a casa, è tra coloro che salgono sul Monte Grosso, insieme a Pierino. Ritornato a Vezzano, probabilmente dopo il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944, organizza il CLN locale, diventando uno dei dirigenti di esso, insieme ai “vecchi” Pietro Andreani, nato, come già detto, nel 1884, e a Rinaldo Basini31, nato nel 1893. Il giovane Enrico diventa responsabile della Resistenza in zona, dalle direttive riguardanti l’opera di accompagnamento dei giovani che volevano andare in montagna, agli atti di sabotaggio, alla diffusione di volantini. Avvicinatosi al Partito comunista, diffonde e/o produce materiale di tale Partito o ad esso ispirato.
Arrestato, e messo in cella con altri, tra cui il fratello Pierino, continua a scrivere ai suoi, dicendo di stare bene, e, probabilmente, continua a disegnare. Quest’ultimo particolare, toccante e per alcuni versi macabro, trova conferme nella testimonianza di Sante Quaglia32.
Enrico scrive l’ultimo biglietto alla madre il 2 febbraio 1945, comunicandole che l’altro figlio, Pierino, è stato portato via “oggi” dal carcere, e aggiungendo, sul retro: “Adesso occupatevi solo di me, a Pierino ci va bene, non pensate male di lui33.” In verità la madre non potrà fare proprio nulla per quei due suoi figli: Enrico è prelevato e fucilato il giorno dopo, Pierino non tornerà indietro da Bolzano.
Il corpo di Enrico, abbandonato nel Campo di Vezzano Basso, dimostrerà i segni inequivocabili delle torture subite.
Sopralluogo e riflessioni a partire dall’oggi
Arrivo a Vezzano sull’onda, soprattutto, della rilettura del libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”34, perché in esso si sente palpitare, nonostante gli anni intercorsi tra il 1944 e il 1994, data di uscita del testo, una storia viva, corale: quel “nostra” del titolo, è, infatti, significativo esempio di vicinanza e affetto.
Il mio tentativo è quello di riappropriarmi, se possibile, al di là degli aspetti fattuali e tecnici che riguardano la storia come materia35, di un’atmosfera.
Il mio appuntamento è con Nadia Ferdeghini36, dell’ANPI locale, la quale mi parla di quei tempi e di quegli uomini, per come li ha sentiti narrare (essendo nata, come me, nel Dopoguerra) e mi dice che, la mattina del 7 dicembre 1944, il paesaggio era caratterizzato da una nebbiolina trasudante umidità37, forse come quella che mi accoglie oggi.
E così, dal suo terrazzo, che dà verso il Golfo da una parte e verso il Magra dall’altra, fotografo innanzitutto la casupola38, ormai in rovina e sommersa dai rovi, dove si riuniva il CLN vezzanese, collocata un po’ fuori dal paese, lievemente a valle, raggiungibile attraverso sentierini e, soprattutto, in una posizione che consentisse a chi vi si trovava vie di fuga agevoli. E Nadia mi dice che la zona di Vezzano era luogo di transito per chi avesse deciso di recarsi ai monti, grazie alla guida di staffette incaricate di farlo: suo padre, Emilio Ferdeghini, detto “Lio”, riconosciuto come partigiano nella Brigata “Gramsci”-Battaglione “Maccione”39, nei rari racconti, le ha detto di avere messo bombe ai tralicci del ponte ferroviario di Fornola (cui si arrivava grazie ad una vietta posta in Masignano), e che, sempre lui, svolgeva anche la funzione di guida per chi volesse recarsi in montagna. Utilizzava, a tale scopo, la terra di famiglia, in Corongiola, particolarmente adatta a raggruppare uomini che dovessero fermarsi lì, per qualche ora o un po’ di più, in quanto sufficientemente riparata e dotata di una bella fontana, denominata “cirloncin”, dai canti degli uccellini che, attirati da essa, andavano a dissetarsi. Da lì partivano i ribelli, a gruppetti, ed Emilio li portava in genere verso la zona del Monte Gottero.
Vado poi, sempre con Nadia, nella sede dell’ANPI, un vero e proprio piccolo museo40, di fronte al quale trattengo quasi il fiato. Su tutte le pareti ci sono fotografie e documenti, ma noto anche che ad un muro sono addossati dei bellissimi maxi cartoni, disegnati da Luciano Viani: in essi, tramite disegni, si parla dei fatti salienti del 7 dicembre, ma anche di altre cose, compresa l’opera delle staffette e la fontana in Corongiola, un modo didattico e incisivo per spiegare la storia a ragazzi che vadano a visitare la sede.
Quadro con fotografie dei partigiani e patrioti di Vezzano Ligure. Conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
E, mentre il mio sguardo si appunta tecnicamente sui documenti, per cui chiedo la possibilità di fotografarne almeno due, quello con la composizione, probabilmente, delle persone principalmente impegnate nella Resistenza vezzanese e quello costituito dalla foto dei partigiani, riuniti insieme in un quadro, vivi e morti41, come si prese l’abitudine di fare nell’immediato Dopoguerra, creando dei veri e propri “medaglieri” con le foto di tutti, ciò che mi fa davvero commuovere è ancora altro. Custoditi sotto vetro stanno documenti autografi di Enrico Bucchioni, gelosamente preservati e tramandati. Non solo, dentro una vetrina, su un manichino, è collocato l’abito e la sciarpa rossa che Pietro Andreani indossò, così mi viene detto, il 3 febbraio 1945, quando fu fucilato, mentre, subito sopra, su un altro ripiano, c’è la sciarpa gialla a pois, che metteva in carcere per ripararsi dal freddo. I colori hanno forse subito l’usura del tempo, ma non più di tanto: il vestito, forato dai proiettili, e le due sciarpe, ci ricordano materialmente e visivamente che un tempo appartenevano a un uomo, morto in circostanze drammatiche. Sono gli oggetti stessi a narrare, in un certo senso, la loro storia, senza bisogno di inventare nulla, è come se da essi provenissero dei barlumi, per aiutarci a ricostruirla, senza finzioni o aggiunte, rispettando i fatti della storia, ma anche con una sorta di empatia per quelle vicende.
Documento d’epoca conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
L’ultimo passo, a chiusura logica, è quello che compio per portarmi lì vicino, di fronte alle targhe di marmo, poste sulla parete esterna dell’edificio comunale. Sono incisi nella pietra i nomi di chi morì nel periodo resistenziale: la comunità vezzanese ha deciso di suddividerli tra chi è caduto in combattimento, chi di fronte al plotone di esecuzione e chi nei campi di concentramento. Leggendoli, è possibile fare anche un ripasso veloce di storia della Resistenza della IV Zona Operativa. I nomi fissati nella pietra sembrano essere indelebili. E, tuttavia, le pietre non bastano: occorrono le narrazioni. Spariti i protagonisti e i testimoni, possiamo affidarci ai libri, alle pietre, ma, soprattutto, alla volontà di tramandare una storia, tragica certo, e tuttavia, proprio “nostra”, e perciò degna di essere ricordata.
Lapide commemorativa a Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
2 Qualcuno, come il Capitano Renato Mazzolani di “Giustizia e Libertà”, responsabile delle SAP cittadine, venne arrestato in dicembre. Tradotto in carcere (nella sede dell’ex XXI Reggimento Fanteria), sottoposto a torture, si uccise, per non parlare. V. per lui anche https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2015/12/Mazzolani-Renato-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
3 Nella famiglia è da ricordare la sorella minore, Luisa, soprannominata “Vanna” che, usando i pattini e fruendo della insospettabilità derivante dal fatto che era giovanissima (all’epoca aveva 15 anni), fungeva da collegamento rispetto a Antonio Borgatti “Silvio”, Segretario della Federazione provinciale comunista, il quale aveva trovato casa alle Pianazze, quindi, vicino al Termo, zona contigua al territorio vezzanese. Ne parla Borgatti nel suo libro “Anni clandestini. Memorie 1904-1945”, (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 2022.
4 Andrea Borrini si era già impegnato, clandestinamente, durante gli anni del regime fascista, nell’ambito del “Soccorso rosso”.
5 All’inizio, poco dopo l’8 settembre, si trattava di gruppi spontanei, costituiti da giovani e giovanissimi della zona di Vezzano Stazione, Fornola, Vezzano, San Venerio, Carozzo. Ne parla Vega Gori “Ivana”, la quale ricorda come spesso, all’inizio, manifestassero la loro insofferenza a fascisti e tedeschi cantando sommessamente cori di opera, ad esempio “Si ridesti il leon di Castiglia”, dall’“Ernani” di Verdi, per passare poi ad appiccicare ai muri volantini, anche scritti a mano, usando farina impastata con acqua come colla. Lei, che sarebbe diventata dattilografa e staffetta per Antonio Borgatti, rimanendogli a fianco per tutti i mesi, dal giugno 1944 fino, praticamente, alla Liberazione, era, nell’autunno 1943, una ragazza appena diciassettenne, che i fratelli non volevano nella cospirazione. V. “‘Ivana’ racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013. Dei due fratelli di “Ivana”, Erro, sarebbe poi andato ai monti, nel Parmense, mentre l’altro sarebbe rimasto al piano, diventando, nel Dopoguerra, il primo Sindaco, eletto, di Vezzano Ligure.
6 Arrigo Diodati, dopo la sua permanenza alla Spezia, si trasferì a Genova. Combattente nella Resistenza genovese, catturato, si salvò fortunosamente dalla strage nazifascista di Cravasco il 23 marzo 1945.
7 Tra i luoghi finitimi non va dimenticata Arcola, da subito caratterizzata da dinamiche molto attive, anche come Fronte della Gioventù.
8 D’altra parte l’area vezzanese, nonostante la repressione dovuta alla dittatura fascista e la presenza di un consistente gruppo di famiglie conservatrici, ha anche forti radici, sia repubblicane che socialiste (e poi comuniste). Il terreno si presenta, insomma, fecondo per le iniziative resistenziali, diventando una sorta di laboratorio per esse. Cospirano Piero Borrotzu, tenente, sardo, di madre vezzanese, accolto a Vezzano, dopo l’8 settembre, dal cugino della madre, Nino Ferrari), Medaglia d’oro al VM alla memoria, tra i primi della Brigata d’ assalto “Lunigiana, fucilato a Chiusola il 5 aprile 1944; Franco Coni, sottotenente, sardo, amico di Borrotzu, anche lui animatore della Brigata d’Assalto Lunigiana, quindi Comandante per un periodo del Battaglione “Matteotti” e poi, fino alla Liberazione, della I Compagnia “Arditi”; il Colonnello Giulio Bottari, che tesse da subito instancabilmente le fila clandestine e che, catturato a Genova, deportato, muore a Mauthausen nell’aprile 1945; Maresciallo Lugi Dallara, legato a Giulio Bottari, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), Giovanni Spezia, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), padre di Gerolamo; Gerolamo Spezia, Medaglia d’oro al VM alla memoria, caduto durante il rastrellamento dell’8 ottobre 1944. Non solo, numerosi sono i contatti, grazie al socialista Attilio Battolini, tra il paese e Follo, dove si trova l’avvocato Agostino Bronzi, anche lui socialista, e dove si stanno, a loro volta, muovendo gruppi resistenziali. Per Attilio Battolini e le sue vicende, v. in particolare “Attilio e gli altri” di Laura Lotti, cit. Per una maggiore conoscenza di Piero Borrotzu, Giulio Bottari, Agostino Bronzi, Piero Spezia, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf; https//www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Spezia-Gerolamo-largo.pdf (Schede a cura di Maria Cristina Mirabello). Per le circostanze della fucilazione di Luigi Dallara e Giovanni Spezia v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Arcola-Martiri-della-Libert%C3%A0-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
9 L’articolo è dedicato ai fatti di Vezzano del 7 dicembre 1944, e non a tutta la Resistenza vezzanese o a tutta quella che in questo borgo ha radici o afferenze. Il Libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., nel corso delle sue pagine, dà però la parola, direttamente o mediatamente, a molti vezzanesi aderenti alla Resistenza: Renato Andreani, Ideale Battolini, Cesare Bonatti, Giuseppe Bonati, Medaglia d’argento al VM, Aldo Comis, Enrico Cozzani, Pietro Cozzani, Francesco Del Bello, Piero Del Giudice, Emilio Ferdeghini Riccardo Ferti, Alessandro Grossi, Cesare Orlandi, Pierino Puppo, Sante Quaglia, Ilvano Tomà, Bruno Scattina (va detto che dai loro racconti emergono ulteriori figure, alcune delle quali hanno combattuto in altre regioni, come quella di Gianni Bocchi, Medaglia d’argento al VM, Sergio Conti e Camillo Risi o, addirittura, in altre nazioni, come Pierino Baldassari). Si ricordi infine che appartiene al Comune di Vezzano anche il gruppo valeranese, con Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, Origliano Montefiori, Nello Sani (quest’ultimo morto nel corso del rastrellamento del 20 gennaio 1945), gruppo cui il libro di Anna Valle fa cenni.
10 Numerose testimonianze sul 7 dicembre, o comunque su date collegate ad esso, riguardanti vezzanesi, sono ritrovabili nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., che, a sua volta, attinge in parte anche dal “Numero Unico ‘Circolo Culturale 7 dicembre’”, 1974, o da altri scritti. Tra i ricordi quelli di Giovanni Andreani, Edilio Conti, Rinaldo Basini, Attilio Battolini Emilio Ferdeghini, Alessandro Grossi, Riccardo Ferti, Piero Orlandi, Ilvano Tomà, Piero Puppo, Erio Portonato. C’è inoltre la testimonianza di Giuseppina Cogliolo “Fiamma”, che non è vezzanese ma che conosce Enrico Bucchioni in circostanze per lei drammatiche: ferita, ma scampata al rastrellamento della Brigata “Muccini” del 29 novembre 1944, arriva fortunosamente a Fornola, dove operano le SAP. Accompagnata a Vezzano Ligure, viene affidata a Enrico Bucchioni e accolta premurosamente dalla madre di lui. Collocata, in via provvisoria, dentro una casa disabitata, in fondo al paese, si sveglia il mattino dopo, quando una donna le dice di scappare, informandola che è stato catturato Enrico Bucchioni, con altri. Proprio Enrico era riuscito a farla avvisare, ed è, quindi, grazie a lui, che “Fiamma” può allontanarsi, mettendosi in salvo.
11 Tra i principali informatori di essi è, sicuramente, don Emilio Ambrosi, processato per questo motivo nel Dopoguerra, condannato a morte, commutati in 30 anni di reclusione, e morto poi in carcere nel corso del 1946. Il comportamento di don Ambrosi è, insomma, completamente diverso da quello di numerosi sacerdoti spezzini, i quali si dimostrarono veri “pastori del popolo”, patendo anche il carcere (v. per un approfondimento il rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944). Per non parlare di chi fu ucciso (don Emanuele Toso e don Giovanni Battista Bobbio). Per ulteriori notizie sui sacerdoti spezzini, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Scarpato-Mario-don-largo.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Tra i segnalati, si salva un ragazzo perché risparmiato dal soldato (polacco) che lo ha fermato. Dice Giovanni Andreani, il quale, in quella tragica giornata, riuscì a nascondersi: “Nel nascondiglio dove restai per diverse ore potei assistere anche a un fatto che mi colpì profondamente. Vidi un polacco che accompagnava un giovane vezzanese, Giuseppe Dalle Lucche, detto Pino; essi percorrevano la via Verdi quando, giunti all’altezza della ‘cabina’, il milite fece nascondere il giovane, poi fermò una pattuglia tedesca, impedendo così che il Dalle Lucche fosse visto, quindi si presentò a mia madre invitandola a nascondere il ragazzo per salvarlo dalle ire nazifasciste. Le fece capire che ‘Pino’ assomigliava a un suo fratello trucidato in Polonia dalle forze tedesche.” Sempre Giovanni Andreani, aggiungendo di avere notato come quel soldato polacco fosse dotato di una mappa “Dove erano segnate in rosso le case di alcuni partigiani vezzanesi”, conferma il fatto che il rastrellamento aveva degli obiettivi precisi e precedentemente segnalati (“7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit.).
12 La vicenda della data differita è ricostruita articolatamente in Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
13 Scrive Maurizio Fiorillo nella Scheda già citata che il reparto tedesco non è stato identificato; quanto ai fascisti italiani, afferma Fiorillo, prendono parte al rastrellamento reparti della Divisione “Monterosa” della RSI e della spezzina Brigata Nera “Tullio Bertoni”.
14 Per Aurelio Gallo, fascista al servizio dei tedeschi, e per il carcere dell’ex XXI, luogo spezzino in cui egli interrogava e seviziava i prigionieri, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/XXI-Reggimento-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Aurelio Gallo viene processato (non solo per i fatti di Vezzano ma per molti altri gravissimi episodi) dalla Corte d’Assise straordinaria, alla Spezia, nel Dopoguerra. Condannato a morte, è ucciso a Forte Bastia (Vezzano Ligure) il 5 marzo 1947. Tra i torturatori del carcere vanno annoverati, in ordine alfabetico, Emilio Battisti, Aldo Capitani, Matteo Guerra, Michele Morelli, Ennio Viviani. Tra gli aguzzini, molti detenuti ricordano anche don Rinaldo Stretti. Subirono la pena di morte, fucilati insieme ad Aurelio Gallo, solo Emilio Battisti e Michele Morelli. A proposito delle torture inflitte e delle vicende processuali, v. l’articolo di Giorgio Pagano “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore” (22-4-2019) in “Città della Spezia”, giornale on line, https://www.cittadellaspezia.com/2019/04/22/i-ribelli-della-lunigiana-e-aurelio-gallo-il-torturatore-284477/
15 Si tratta quindi di due vittime civili che però la comunità vezzanese ha sentito di ascrivere alla Resistenza locale.
16 Laura Lotti in “Attilio e gli altri”, cit., dedicato ad Attilio Battolini, che il 7 dicembre è appena rientrato da una missione a Vezzola (Zignago) presso il Comandante Mario Fontana, dice, a proposito del 7 dicembre 1944: “Attilio è preoccupato perché ha cose murate. Egli cade con molti amici e compagni nella morsa tedesca che quella notte chiude tutte le strade di uscita dal paese. Contadini, operai appena usciti di casa sono fermati ed inviati nella piazza della chiesa. Non c’è possibilità di fuga. Tra i primi ad essere arrestati sono Pietro Andreani, vecchio comunista e presidente del CLN. Arrivano contemporaneamente nel piazzale davanti a villa Centi Attilio Battolini, la famiglia Ferdeghini composta da Luigi e dai suoi figli Emilio e Francesco, Rinaldo Basini, a cui si aggiungono Piero Orlandi, Vittorio Lumachelli, Edilio Conti, Rino Andreani, Luigi Cozzani e molti altri… I segnalati, circa 90 persone delle 300 fermate, sono raccolti in un recinto di tavole situato sotto villa Centi.” Le cose “murate” sono, evidentemente, documenti clandestini.
17 Il giorno prima, 2 febbraio 1945, c’era stato, a Vezzano, uno scontro tra una squadra di partigiani scesa al piano per approvvigionamenti, e alcuni fascisti, nel corso del quale furono feriti 4 partigiani (di cui due vennero portati via dai compagni; gli altri due, non individuati sul momento, rimasero lì: uno, Annibale Giansoldati, morì poche ore dopo, ed uno, Aldo Comis, ferito, ma in grado di muoversi, si salvò portandosi verso Fornola, dove fu soccorso da una famiglia. Per i fascisti ci furono un morto e un ferito, probabilmente provocati dall’avere fatto esplodere essi stessi, malamente, una bomba.
19 La sequenza dei fatti del 7 dicembre 1944 e di quelli, ad essi collegati, del 2-3 febbraio 1945, è ricostruita da Maurizio Fiorillo nelle Schede citate.
20 “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
21 Ad esempio, per scambi tra fascisti e/o tedeschi catturati dai partigiani ed elementi della Resistenza.
22 La lettura di alcuni biglietti scritti da Enrico Bucchioni in carcere, rivolti ai familiari, lascia intravedere in lui qualche speranza di poter sfuggire al duro destino che lo attende (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., pp. 64-72). Sempre dalle testimonianze sembra invece potersi ricavare la certezza, più volte espressa da Pietro Andreani, riguardo a sé, che morirà (v. dopo).
23 Citato anche nel libro di Antonio Bianchi “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana”, Editori Riuniti, 1975, p. 111, come attivo propagandista del Partito Comunista.
24 Sul carcere e su quanto avveniva tra le sue mura esistono molte testimonianze. Tra esse, v. “Ricordi di un luogo di tortura” di Attilio Battolini, “La Spezia. Rivista del Comune”, ristampa del n.4-6, luglio-dicembre 1955 (anche Attilio Battolini subì percosse e torture). Presta cure a Battolini Emilio Ferdeghini (v. la sua testimonianza nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 200).
25 V. ad esempio, tra le altre, quella di Emilio Ferdeghini nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 201. Il comportamento di Andreani è sempre molto coraggioso, anche se “Tutte le sere veniva prelevato e torturato così ferocemente che non riusciva più a parlare”.
26 Ilvano Tomà, catturato il 7 dicembre e portato in carcere con gli altri vezzanesi, dichiara che una sera, mentre era interrogato, vide in un angolo della stanza il corpo sanguinante e riverso sul pavimento di Andreani. Probabilmente, come osserva Anna Valle, Tomà svenne, ritrovandosi poi nella stessa cella di Andreani che lo compianse dicendo appunto, in dialetto, allo stesso Tomà: “Povro fanto, guarda cosa i t’an fato”. Tomà rimase con Andreani qualche tempo, ma una sera, sempre Andreani, tornando da un interrogatorio, gli comunicò che era successo qualcosa a Vezzano, aggiungendo “Mi fucileranno e fucileranno anche te”, consigliandogli per il mattino dopo, quando sarebbe stata detta la Messa, di non rientrare nella sua stessa cella. Tomà fece così, rientrò, ma in un’altra cella, salvandosi, così egli sostiene, dalla fucilazione (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 63).
27 Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.85.
28 Natale (Francesco) scampa in modo del tutto fortuito al rastrellamento del 7 dicembre 1944.
29 Pierino Bucchioni, rastrellato il 7 dicembre, imprigionato, segue, come molti compaesani, la via della deportazione, rimanendo bloccato (come altri) nel campo di Gries, a Bolzano. Nei giorni della Liberazione, muore tragicamente, travolto da un camion di tedeschi in fuga.
30 Il parroco di Vezzano Alto è don Storti, ben diverso dal delatore e connivente fascista don Emilio Ambrosi, parroco di Vezzano Basso. Secondo la testimonianza di Pietro Bernardi, riportata da Anna Valle in “Una storia nostra”, cit., p. 22, Enrico Bucchioni, prima di essere fucilato, avrebbe chiesto al parroco di Vezzano Basso di essere comunicato, e ciò gli sarebbe stato negato.
31 Basini, arrestato il 7 dicembre, imprigionato, viene avviato alla deportazione, ma, a causa dei bombardamenti, come altri vezzanesi, viene fermato a Bolzano e, in questo modo, si salvò.
32 Risulta da più fonti che il carcere dell’ex XXI, dopo la Liberazione, presentò, agli occhi di chi vi entrava, molti disegni sulle pareti. Tra essi, Sante Quaglia dice di avere ravvisato un disegno di Vezzano visto dal fiume, una Madonna, la chiesa di Vezzano Basso, riconoscendovi, senza dubbio, la mano di Enrico Bucchioni. La tinta dei disegni, bruno rossastra, per come è stata descritta, farebbe presupporre in essi la presenza di sangue (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 73). Il carcere, situato nell’attuale via Aldo Ferrari, è stato abbattuto negli anni Settanta del Novecento: al posto di esso sorge oggi il complesso scolastico del “2 giugno”.
33 Probabilmente Enrico ritiene Pierino più al sicuro lontano dalle grinfie dei carcerieri fascisti spezzini rispetto a quanto può accadere a lui che, ormai, sente la morte appressarsi sempre più.
35 Esempio di ciò sono le due Schede curate da Maurizio Fiorillo.
36 L’appuntamento è di pomeriggio, il 10 novembre 2023. Nadia è figlia di Emilio Ferdeghini “Lio”. Ho potuto mettermi in contatto con lei grazie a Oretta Jacopini, dell’ANPI-La Spezia.
37 Nell’opuscolo “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit., Giovanni Andreani parla per quella giornata di pioggia e freddo intenso.
38 Una foto della casupola, in tempi in cui era ancora visibile nelle sue linee fondamentali, è appesa nella sede ANPI, di cui parlerò dopo. Mi dice Nadia Ferdeghini che nella casupola c’era un piano terra adibito a pollaio e, sopra di esso, un piano per il fieno. Le riunioni del CLN non avvenivano solo in questa sede, ma, per non dare troppo nell’occhio, anche in sedi diverse. E’ bene ricordare che un’altra casupola si trovava nel territorio vezzanese, ben nascosta dentro i boschi del Molinello, nel rigido inverno 1944-1945. La conformazione era identica, un piano terra, dove stavano però le pecore, e un piano sopraelevato, dove Vega Gori “Ivana”, diciottenne, vezzanese di adozione, batté a macchina, per lunghe ore, documenti della Federazione PCI e del CLN provinciali.
39 V. Registro Storico dei partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa https://www.isrlaspezia.it/strumenti/partigiani-e-patrioti-della-iv-zona-operativa-1943-1945/; v. anche la sua Scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bf164d235218049f219f. Emilio Ferdeghini fu catturato il 7 dicembre 1944. Imprigionato all’ex XXI°, poi a Marassi, quindi a Milano, in un gruppo di 12 vezzanesi, arrivò a Bolzano. Destinato alla deportazione, ormai in treno sulla via di Mauthausen, non vi arrivò a causa dei bombardamenti. Riportato a Bolzano con il fratello, il padre e il cognato Giuseppe Baldassini, venuta la Liberazione, poté rientrare (Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.56-57).
40 I documenti d’epoca conservati in esso, mi dice Nadia Ferdeghini, provengono da Claudio Bucchioni, figlio di Francesco Bucchioni, e quindi nipote di Enrico, che li ha donati all’ANPI. Di tali documenti, scritti da Enrico Bucchioni, si trova un’analisi accurata nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
41 Questo tipo di documentazione è, a mio parere, assai importante, ed è stata però a lungo trascurata. Essa consente, pur nei limiti delle eventuali e scusabili dimenticanze, di ricostruire, almeno complessivamente, il quadro resistenziale di ogni zona della provincia, perché in tutta la provincia ci furono iniziative fotografiche identiche. Non solo, si dà così un volto a chi non c’è più, ma, poiché spesso, come nel caso di quello di Vezzano, il quadro è suddiviso in settori, si possono individuare le funzioni svolte dai dai vari personaggi.
“Rispolveriamo” perché il verbo indica chiaramente, da un lato, la necessità di togliere la polvere, che spesso si accumula comunque sui fatti storici, impedendo una conoscenza di essi, ma anche quella di rimuovere, sempre in un’ottica critica, smemoratezze e oblio.
Deriva da tale premessa un impianto che si prefigge di affrontare l’arco 1943-1945 in un’ottica complessiva, rivolta a destinatari con diverse esigenze.
Proprio perciò, a fianco delle manifestazioni di tipo celebrativo-commemorativo, un vero e proprio “calendario civile” articolato secondo le principali date di riferimento e curate dal Comitato Unitario Resistenza,
conferenze di inquadramento, corrispondenti a ciascuno dei tre anni previsti;
produzione di un fumetto (entro aprile 2024) dal titolo provvisorio“I Sentieri della Libertà a fumetti”: Studenti della Scuola Secondaria di II grado, supportati in ambito tecnico e storico, si fanno narratori di tantestorie, mentre gli alunni della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria di I grado diventano i destinatari-fruitori;
conoscenza dei fatti attraverso i documenti: escursioni documentarie guidate presso l’Archivio Storico ISR, l’Archivio di Stato della Spezia e, se possibile, all’Archivio delle grandi fabbriche spezzine;
conoscenza del territorio: la geostoria imparare a leggere le tracce degli avvenimenti che nel tempo si sono succeduti, con particolare riferimento a quelli dell’arco 1943-1945, quindi escursioni a carattere didatticoper conoscere monumenti/cippi/lapidi o luoghi significativi;
ciclo di proiezioni filmiche Memoria visibile con lo scopo di trasmettere, attraverso l’immediatezza e densità del linguaggio filmico, il valore irrinunciabile della memoria storica.
ciclo “Incontri con la Storia”: leggere, dialogare, pensare
e… poi mostre sulla Deportazione, sulla Resistenza…
Dalla pagina“80° anniversario della Liberazione“, raggiungibile anche dal menu principale, si potrà seguire lo sviluppo del progetto: gli eventi e le attività già svolte verranno di volta in volta collegate a pagine descrittive con relativi contenuti.
Tanti dubbi, alcuni documenti, una possibile ipotesi su chi fosse Segretario del PCI all’inizio di giugno 19441
Anelito Barontini, Segretario della Federazione comunista spezzina, ormai attivamente ricercato alla Spezia, dopo il successo degli scioperi operai del marzo 1944, era stato trasferito a Genova, dove sarebbe poi diventato Commissario politico della VI Zona Operativa.
Arrivarono così alla Spezia Giovanni Rosso “Luigi” e Giuseppe Poggi “Franco”. D’altra parte, la Federazione spezzina era piuttosto carente come quadri dirigenti, ed era necessaria una implementazione qualitativa, possibilmente con volti sconosciuti alla locale vigilanza fascista.
Se leggiamo i passi storiografici finora editi riguardanti tale avvicendamento2, troviamo che Poggi era Segretario del PCI spezzino e tale rimase fino alla sua drammatica scomparsa nella notte del 28 giugno 1944, a Pian di Follo, dove si era recato, fondamentalmente per individuare una posto che ospitasse una tipografia clandestina. Dopo tale tragico fatto gli sarebbe subentrato Antonio Borgatti “Silvio”, che resse tutta la rete clandestina al piano, nel territorio spezzino, fino alla Liberazione, andando via dalla Spezia per incarichi nazionali nel Sindacato CGIL, a Roma, nel novembre 1945.
Poiché nel libro “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, di Antonio Borgatti (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 20223, lo stesso Borgatti afferma di essere arrivato alla Spezia in concomitanza con la liberazione di Roma, rivestendo la funzione di Segretario, aggiungendo di avere scritto in tale occasione il primo volantino4 della lunga serie che in seguito avrebbe redatto, mi sono posta il problema di chi fosse realmente ai primi di giugno 1944 Segretario della Federazione provinciale comunista: Poggi (come dato per scontato finora) o Borgatti?
La curiosità potrebbe denotare, in sé, una eccessiva, e perfino inutile, ricerca del “certo”5, ma potrebbe anche rivelarsi importante, nel caso in cui si debbano attribuire alla responsabilità di qualcuno, documenti del PCI risalenti al giugno 1944.
Ho perciò riflettuto su quanto dice “Silvio”, nel libro citato, a p. 85, dove afferma chiaramente di avere assunto la funzione di Segretario del PCI, arrivando alla Spezia, specificando ulteriormente, a p. 88, i compiti assolti da lui, da Giovanni Rosso “Luigi”6 e da Giuseppe Poggi “Franco”7: “Con ‘Luigi’ e ‘Giulio’8 ci dividevamo i compiti. Luigi si occupò in prevalenza del lavoro militare, ‘Giulio’ della riproduzione e della distribuzione della stampa, io del coordinamento organizzativo, del collegamento con la regione…”e ripete la stessa cosa nella “Relazione sull’attività del Comitato Federale dal 1939 all’agosto 1945”, Federazione provinciale di La Spezia, datata 15 agosto 1945, e firmata “La Segreteria Federale”, cioè, in definitiva curata dallo stesso Borgatti9, dove scrive: “Alla fine di maggio10, raggiunse la Spezia il compagno Borgatti (‘Silvio’)11 quale responsabile della Federazione.”
Ho allora cercato di capire meglio e di trovare possibili punti di appoggio. Da ulteriori documenti consultati12 risulterebbe confermata la versione di “Silvio”. Infatti esiste, relativamente al PCI spezzino, un documento manoscritto, datato “maggio 5 1944”, redatto da “Il Responsabile politico”, la cui grafia è diversa13 da quella risultante in un altro documento, anch’esso scritto a mano, intitolato “Rapporto del 2-6-44” (nella chiusa è riportata la data del 3 giugno 1944). Il secondo documento è, con grande probabilità, scritto da Borgatti. Il Rapporto corrisponde, sebbene semplicizzato, come struttura di paragrafi, alla tipologia che sarà, all’incirca, ripetuta poi sempre nelle Relazioni di “Silvio”. Questo deporrebbe a favore del fatto che, nel momento in cui Borgatti arriva alla Spezia, rivesta già la funzione di Segretario14.
Tuttavia, il metodo della ricerca, che apre sempre nuovi scenari, potrebbe riservare, anche riguardo alle massime cariche spezzine del PCI nel giugno 1944, ulteriori sorprese.
Alla prossima!
Riproduciamo di seguito le schede tratte da https://partigianiditalia.cultura.gov.it, relative ai tre personaggi di cui l’articolo ha fondamentalmente trattato.
Scheda di Giuseppe Poggi
Scheda di Antonio Borgatti
Scheda di Giovanni Rosso
NOTE
1 Questa ricerca è stata condotta collateralmente al filone centrale dello studio sulla Brigata, poi Battaglione “Vanni”, garibaldino, e perciò tendenzialmente, anche se non unicamente, legato alla componente ideologica comunista.
2 Se ad esempio seguiamo “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana” di Antonio Bianchi (Editori Riuniti, 1975), p. 309, vediamo che a sostituire Barontini “Sul fronte cittadino [NdA: cioè alla Spezia] era chiamato Giuseppe Poggi (‘Franco’) di Sestri.” A p. 311 dello stesso libro è inoltre scritto che Poggi sarà sostituito, dopo la sua morte, da Borgatti. Giulivo Ricci nel libro “Storia della Brigata garibaldina ‘Ugo Muccini’. Brigate partigiane della IV Zona Operativa”, ISR Pietro Mario Beghi, La Spezia, 1978, a p. 217, dice che Giuseppe Poggi “Aveva sostituito nella direzione del Comitato federale Anelito Barontini” e, a p. 218, specifica che il tragico evento della morte di Poggi “Privava la Federazione comunista del suo massimo dirigente.”
3 Il libro, importante, e soprattutto prezioso per i fatti della Resistenza spezzina, è uscito molti anni dopo la morte dell’Autore, scomparso nel 1991.
4 V. AISRSP, Fondo III, Attività Politica, Serie 4, PCI La Spezia, B 654, 2653, 2654, 2655.
5 E’ noto come il “certo” e il “vero” non necessariamente coincidano, avendo bisogno il “vero” di una più complessa riflessione.
6 Giovanni Rosso era stato “prelevato”, a Savona, dalla staffetta spezzina Rina Gennaro “Anna”.
7 Occorre puntualizzare che Borgatti parla in chiaro del cognome, quanto al nome, lo chiama “Giulio”. In realtà, se andiamo nelle schede di riconoscimento di https://partigianiditalia.cultura.gov.it, che sono collocate in fondo all’articolo, troviamo che il nome di battaglia, con cui, tra l’altro, è ricordato in IV Zona Operativa, è “Franco”. Il fatto che Borgatti lo chiami “Giulio”, può essere spiegato così: o nella precedente esperienza di partito l’aveva conosciuto con questo nome, oppure, poiché lo stesso Borgatti ironizza sulla sua personale difficoltà a ricordare i nomi, attribuisce a “Franco” l’appellativo di “Giulio”. Della sua idiosincrasia per i nomi Borgatti parla anche in occasione del suo fortunoso arrivo alla Spezia, quando deve recarsi in un luogo convenuto chiedendo di “Giulio”, invece si sbaglia e chiede di “Giorgio”. V. “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, p. 88, cit. Si può infine osservare che un “Giulio” arrivò davvero in IV Zona Operativa, da Genova, ma qualche mese dopo.
8 V. quanto già detto sullo scambio di “Giulio” e “Franco”.
10 Nella Relazione, quindi, retrodata di pochissimi giorni il suo arrivo, rispetto a quanto scritto in “Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”.
11 Abitudine di Borgatti è, in genere, nelle Relazioni, quella di parlare di sé in terza persona, per esporre i fatti guardandoli come osservatore. Talvolta, però, anche in esse, affiora la prima persona, specie nel caso di una maggiore partecipazione emotiva.
12 I documenti sono in Fondazione Gramsci, Partito comunista italiano. Direzione Nord (1943-1945), Liguria e singole città, “13. La Spezia”.
13 Le grafie sono senza dubbio diverse. Il problema è stato quello di capire a chi appartenesse la grafia di giugno 1944. L’ho così confrontata con scritti sicuramente di Borgatti, perché firmati da lui (nel libro cit., v., ad esempio, una sua lettera a p. 34). Ho poi chiesto lumi a Vega Gori “Ivana” (1926-vivente), che ha lavorato ininterrottamente a fianco di Borgatti stesso, una volta arrivato alla Spezia, trascrivendo le sue minute a macchina. A riprova di ciò, va aggiunto che, nel suo libro di memorie, Borgatti la nomina come “Ivana”, senza cognome, in più punti. Nel presentarla, a p. 89, dice, tra l’altro: “Le spiegai i suoi compiti e fino alla Liberazione mi fu valida collaboratrice sia quale dattilografa, sia per i collegamenti”. Secondo “Ivana”, che non ama, a tanti anni di distanza, ostentare sicurezze, la grafia potrebbe appartenere a “Silvio”.
14 Poggi potrebbe dunque essere arrivato alla Spezia come Segretario, prima di “Silvio”, rimanendo poi alla Spezia, piuttosto debole come quadri, anche dopo l’arrivo di Borgatti, svolgendo però, fino alla sua drammatica scomparsa, una mansione diversa.
Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea "Pietro M. Beghi" Fondazione ETS